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Le pagelle della crisi di governo. Chi ha vinto e chi ha perso nella strada verso l’inciucio

by Davide Di Stefano
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Roma, 30 ago – L’accordo di governo tra 5 Stelle e Pd ha messo la parola fine alla crisi di governo più pazza del mondo. Tra azzardi spregiudicati, ripensamenti, colpi di scena, parlamentari attaccati alla poltrona, giochi di palazzo ed ingerenze straniere, gli italiani sotto l’ombrellone hanno dovuto assistere ad uno spettacolo non proprio edificante (per usare un eufemismo). Andiamo dunque a capire chi ha sbagliato e chi invece ha azzeccato le mosse, chi ha perso e chi invece ha guadagnato punti in questi venti giorni che ci hanno portato dalla fine del governo gialloverde alla formazione del Conte bis giallofucsia. Stiliamo dunque le pagelle della crisi.

Matteo Salvini: 4,5

Il capitano ha perso. Ha giocato la sua partita spregiudicata convinto di poter andare al voto in autunno o al massimo in primavera, passare all’incasso e diventare premier. Ha sopravvalutato la leadership e la volontà di Zingaretti (con cui aveva un accordo) e Di Maio di andare al voto. Ha sottovalutato invece la volontà di restare aggrappati alla poltrona dei parlamentari, quella del Quirinale e dei poteri forti di toglierselo dalle scatole. E non ha previsto le manovre di Grillo e Renzi, decisivi nel far cambiare posizione ai rispettivi partiti. Ma soprattutto non aveva alcun piano b e quando le cose si sono messe male ha fatto capire a tutti di essersi pentito, recitando la parte dell’amante che ci ripensa offrendo a Di Maio addirittura la presidenza del Consiglio pur di tornare a governare. Sprovveduto.

Luigi Di Maio: 5

Giggino esce indebolito dalla crisi di governo. Ha subito lo strappo di Salvini, pur resistendo alle successive sirene dell’ex alleato che lo voleva fare premier. Da vicepremier e “superministro” del Lavoro rischia ora di ritrovarsi al massimo ministro della Difesa, con un ruolo molto più marginale nel governo giallofucsia rispetto all’esperienza gialloverde. Scavalcato dalla sortita di Beppe Grillo e indebolito nel movimento, rischia anche di essere messo all’angolo da Giuseppe Conte, per il Pd il “vero leader” dei pentastellati. Ridimensionato.

Nicola Zingaretti: 5,5

Er “sor tentenna” ha tentennato un’altra volta. Convinto di essere veramente il segretario del Pd, per una giornata circa ha tenuto il punto sul voto subito (che gli sarebbe convenuto per rilanciare politicamente il Pd e fare fuori i parlamentari renziani). E invece dopo l’iniziativa di Renzi che ha schierato i suoi a favore dell’accordo con i 5 Stelle, sono sbucati all’improvviso i vari grandi vecchi Ds come Prodi e Bettini, che gli hanno detto: “Dove vuoi andare tu? A votare? Rimettiti le mani in testa, vai dietro la lavagna e fai come diciamo noi”. Nel giro di poche ore Zingaretti ha fatto la giravolta e aperto all’inciucione giallofucsia. Bullizzato.

Matteo Renzi: 8

Quando tutti lo davano per morto e sembrava lontano dai radar della politica che conta, ecco che il senatore semplice di Scandicci ti tira fuori il coniglio dal cilindro. Sconfitto dalle urne e cacciato dalla segreteria Pd, ha ancora le sue truppe cammellate in Parlamento che schiera sul confine al momento opportuno. E’ lui a mettere all’angolo Salvini, spostando l’asse del Pd dal voto subito all’accordo con i 5 Stelle. Una volta raggiunto l’obiettivo lascia poi il pallino della trattativa a Zingaretti, dimostrando di saper tornare “al posto suo” quando la missione è completata. Ha riacquisito in pochi giorni una centralità che sembrava aver perso e guadagnato tempo per le sue mosse future. Chapeau.

Sergio Mattarella: 7

Il vecchio democristiano di sinistra esce da questa crisi di governo con un discreto “bottino”. Si toglie dalle scatole l’odiato Salvini, potrà contare su un esecutivo più controllabile e filo Ue/élite/establishment etc. Inoltre sembra che il “partito del Quirinale” avrà almeno 4 ministeri sotto il suo controllo, senza contare che Giuseppe Conte (ormai premier a tutti gli effetti e non più dimezzato come nell’esecutivo gialloverde) non muove un passo senza consultarsi (o ricevere indicazioni) dal Colle. Il tutto portato a termine senza eccessive forzature alla Napolitano, ma con un o stile “sobrio”: è bastato dire a 5 Stelle e Pd “fate in fretta sennò ve lo buco sto pallone, cioè si torna al voto” che i partiti hanno fatto tutto da soli, senza nemmeno bisogno di crisi finanziarie, spread e ingerenze straniere che andassero oltre il tweet di Trump. Mummia fortunata.

Giuseppe Conte: 7,5

Sembra ieri quando l’impacciato “avvocato del popolo” al debutto in Parlamento rivendicava il suo “populismo”. E’ bastato un anno di corso accelerato ad opera di Quirinale, vertici internazionali e cancellerie straniere per diventare uno spigliato “avvocato delle élite”. Adesso abbiamo i telegiornali che tessono le lodi al suo ciuffo e alla sua pochette manco fossero il loden di Monti. Conte è stato bravo a dare il colpo di grazia a Salvini il 20 agosto, rassegnando le dimissioni e rendendo quasi impossibile una riedizione del governo gialloverde. A quel punto è riuscito, con l’aiuto di Mattarella, a far cadere i veti del Pd sulla sua nomina a presidente del Consiglio dell’inciucio giallofucsia. Appoggiato a livello internazionale, sostenuto in modo palese da Trump, pur restando sotto l’ala protettiva del Quirinale non è più un premier dimezzato ma un premier vero e proprio, che già in questi giorni sta facendo sentire la sua voce sulle nomine dei ministri. Opportunista ambizioso.

Davide Di Stefano

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