Roma, 8 ago – L’ennesimo attacco di Israele sulla striscia di Gaza non può che portare alle “solite” e naturali riflessioni. Quelle in cui ingenuamente ci si chiede quanto certe azioni possano ancora essere protette, occultate e perfino giustificate. L’ingenuità, per quanto caratteristica passibile di critica, può essere uno strumento utile. Perché anche solo immaginare la giustizia, prima di tutto, è importante. Nella speranza che un giorno, prima o poi, ci si possa avvicinare. Senza neanche la visione di essa, tutto è perduto in partenza.
Israele, Gaza e la dignità perduta
Israele e la dignità perduta. O chissà se mai posseduta. Attacchi, senza freni, e spesso senza pietà. Perché il ministro della Difesa Benny Gantz aveva solennemente dichiarato già due giorni fa di voler proseguire, ad oltranza, contro la “Jihad islamica”. Poco conta se nel bel mezzo ci finiscano dei civili o addirittura dei bambini. La pressione internazionale, peraltro modesta, spinge però Tel Aviv a sollevare il piede dall’acceleratore. Ed ecco che nella notte si raggiunge un accordo per l’ennesimo, ridondante cessate il fuoco (Ansa). Non ridondante perché sia in qualche maniera un evento negativo, ovviamente. Ma perché a Gaza e in Palestina, da decenni quasi ininterrotti, quel cessate il fuoco non vuol dire nulla di concreto. Soprattutto nulla di prospettico. Rappresenta solo una squallida, triste pausa nell’attesa che ricomincino i massacri.
Un pasticcio e un crimine della storia
Ormai si va per i 75 anni. E le tensioni non accennano a placarsi. Questo perché il progetto stesso di quello Stato, nato nel secondo dopoguerra, era probabilmente “storto” in partenza. A prescindere dagli iniziali acquisti legali di terreni avvenuti nei decenni precedenti a quel fatidico 1948, era una situazione che puzzava fin dal principio. Puzzava l’impiantamento colonizzatore in una terra in cui, da più di un millennio, ormai abitavano altri popoli. Puzzava come puzzano tutte le “iniezioni artificiali”, le stesse che – tra l’altro – ispirano i diktat del multiculturalismo (ma questa à solo una brevissima digressione).
Un fastidio olfattivo – per usare un eufemismo – che non ha avuto mai fine. A parte una pausa, alla fine del 1993, quando un premier israeliano propose finalmente di abbandonare i territori occupati – tra cui la Cisgiordania e la stessa Gaza – e dare finalmente alla Palestina, ma forse prima di tutto a Israele medesima, una dignità. Una proposta che culminò negli accordi di Oslo e in una stretta di mano storica con Yasser Arafat. Pausa durata troppo poco, perché l’assassinio di Yitzhak Rabin non permise di andare oltre. Assassinio dovuto alla malafede e alla poca voglia da parte di tanti, troppi, di risolvere seriamente uno scempio che dura ininterrotto da decenni. Qualcosa che – nella teoria dell’ingenuità – sarebbe risolvibile o quanto meno enormemente riducibile con poche mosse. Ma che nessuno, soprattutto a Tel Aviv, ha mai avuto la minima intenzione di avviare. Al punto da permettere che parte della propria comunità assassinasse chi ci aveva genuinamente provato.
Stelio Fergola
1 commento
Ritengo corretta la valutazione generale su questa triste, manichea parte del mondo.
Circa il finale ho più di qualche perplessità, Y.Arafat ha sempre agito politicamente non del tutto in modo disinteressato (e questo è provato), relativamente a Y.Rabin è stato eliminato da uno di loro dunque non ci è stato dato a sapere più di tanto.