Roma, 17 feb – Vi è una piccola isola greca, nel Mediterraneo sud-orientale, che è un luogo dell’anima per l’italiano che la perlustra. Lero si trova a ridosso delle coste dell’Anatolia e fa parte dell’Arcipelago delle Sporadi meridionali (che nel Novecento prenderà il nome di Dodecaneso). Queste isole hanno seguito storicamente le sorti dell’Isola di Rodi, capoluogo dell’Arcipelago: dopo l’Impero di Bisanzio passarono, dal 1306 al 1522, sotto il dominio dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta e nei secoli successivi appartennero all’Impero ottomano, sottostando al potere dei Sultani di Costantinopoli fino al 1912. In quell’anno, con la Guerra italo-turca, il Regno d’Italia annesse, oltre alla Libia, anche il Dodecaneso, conservandone la sovranità fino al secondo conflitto mondiale con il nome di Possedimento delle Isole italiane dell’Egeo.
Appare evidente come, per le popolazioni cristiane di nazionalità ellenica che abitavano quelle isole, la cacciata dei turchi dopo secoli di soggiogamento abbia rappresentato un affrancamento e un’occasione di sviluppo, che ogni isola ha vissuto in modo a sé stante. Oltre alle isole maggiori Kos e Rodi, infatti, anche le isole più piccole — poco urbanizzate e caratterizzate da un’economia locale prevalentemente di sussistenza e di piccoli traffici marittimi — hanno veduto per la prima volta la nascita di infrastrutture: strade, acquedotti, ospedali, scuole, edifici civili e commerciali, rete di distribuzione elettrica, strutture amministrative e di polizia, oltre ai numerosi impianti agricoli ed interventi di riforestazione.
Tale processo di sviluppo ha riscontrato un apprezzabile stimolo nel ventennio fascista (soprattutto nel periodo 1922-1936, sotto il governatorato ‘illuminato’ di Mario Lago), che ha visto promuovere politiche di popolamento attraverso la fondazione e l’inurbamento di nuovi centri abitati, l’incentivazione dell’agricoltura, il potenziamento dei trasposti marittimi ed aeronautici, la realizzazione di attività produttive quali manifattura e piccola industria, nonché lo sviluppo del turismo alberghiero, termale e di villeggiatura.
Una roccaforte naturale
L’isola di Lero, che nel 1912 aveva circa 4000 abitanti, arrivò a contare, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, 12000 italiani (tra militari e civili) e 6000 locali. Ciò in quanto, oltre allo sviluppo urbanistico ed infrastrutturale civile, l’isola è stata da subito individuata come eccellente roccaforte militare grazie alla propria posizione strategica e conformazione morfologica, caratterizzata da ampi ‘porti naturali’ costituiti da baie e insenature ben protette da promontori poco pronunciati (fino a 300m slm), ed è stata pertanto progressivamente interessata dalla costruzione di infrastrutture militari sparse per tutta l’isola: l’aeroporto idrovolanti “Idroscalo G. Rossetti”, il Centro Radio (divenuto poi Comando durante la dominazione tedesca), le basi navali, le basi sommergibilistiche, le officine, i depositi di carburante, i silurifici, i depositi di armamenti, gli edifici di Comando Regia Marina e Regia Areonautica, l’ospedale militare, il ‘muro di ascolto’, le caserme, gli alloggi, tunnel, bunker, garitte di avvistamento, batterie antiaeree e contronavali (24 postazioni con oltre 80 bocche di fuoco nel 1943). Tanto che già nel 1929 la “Guida d’Italia” del Touring Club Italiano, nel volume “Possedimenti e Colonie”, alla voce “XV-Lero” parlava di un cavo sottomarino per le comunicazioni con Kalimnos, di una stazione eliografica in comunicazione con Patmos e di una stazione radiotelegrafica corrispondente con Kos, Simi, Astipalea e Rodi; poi aggiungeva lapidaria: «Nell’isola è vietato usare macchine fotografiche». Ed invero, il divieto di scattare fotografie in alcune zone dell’isola, ancora usate dai militari greci che sfruttano le nostre caserme e i nostri osservatori sulle cime delle alture, è tutt’ora vigente. Ma escluse queste poche zone militari ancora in uso, l’isola di Lero, che ha ispirato il famoso romanzo di MacLean (e poi film) “I cannoni di Navarone”, si presenta ancora oggi come un museo a cielo aperto, ricca di testimonianze di 75 anni fa.
In modo particolare, la cosa che lascia incantato il visitatore italiano è l’armoniosa identità architettonica di tutta l’isola. Stante il preesistente stile neoclassico di alcuni palazzi dei primi del ‘900 ed il vecchio agglomerato urbano tradizionale delle isole dell’Egeo meridionale, la costruzione della città di fondazione Portolago (oggi Lakki) all’inizio degli anni ’30 — e di altri edifici dello stesso periodo sparsi per un po’ ovunque — ha segnato indelebilmente lo scenario di tutta l’isola, trapiantando uno stile ed una personalità del tutto singolare nelle costruzioni che anche tutt’oggi vengono realizzate. Per questo motivo si può parlare di una vera e propria identità architettonica di Lero: invero tra i palazzi originali anni ’30, quelli restaurati fedelmente, quelli ristrutturati liberamente e quelli tirati su ex novo negli anni successivi, fino ad oggi, il discernimento è difficoltoso a un occhio poco attento.
L’architettura italiana
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La progettazione della Città di Portolago è improntata sul puro funzionalismo umanista (la città a misura d’uomo), che si traduce in una delle più belle sperimentazioni del Razionalismo architettonico, figlio del movimento modernista. Portolago è molto simile alla città di fondazione Sabaudia (con la quale è gemellata dal 2015), pur se meno monumentale; infatti in questo luogo è assunta una chiave di lettura ancor più ‘mediterranea’: forme dolci e arrotondate, costruzioni basse e lunghe, archi a tuttotondo, stile ‘marittimo’ (finestre ad oblò, balconi con il passamano in stile ponte delle navi, ecc.), pur tuttavia con accenno dei canoni tipici dell’International Style (fenetre en longueur, lucernari in vetro-cemento verticale, ecc.). In città gli unici edifici diversi dal resto delle costruzioni sono i due palazzi della Caserma marinai e della Caserma avieri, che non hanno alcunché di razionalista, ma sono più somiglianti all’architettura in stile coloniale ‘rinascimentale fiorentino’ la prima e ‘veneto-bizantina’ la seconda, tipiche di Kos (la Caserma avieri difatti fu realizzata dall’architetto Di Fausto, che a Kos edificò molto e che a Lero realizzò anche tutto il resto dell’Idroscalo Rossetti).
Il colore degli edifici di Lero è per lo più bianco crema-pelle d’uovo-ocra e al sole immobile dei deserti pomeriggi estivi, dona all’osservatore una suggestione di staticità e plasticità che sembra catapultarlo all’interno di una rappresentazione pittorica di Giorgio de Chirico. E probabilmente gli architetti che hanno progettato Portolago, le suggestioni metafisiche di Giorgio de Chirico — italiano nato e vissuto in Grecia fino ai diciotto anni — le avevano bene in mente. Oltre al citato Di Fausto, gli architetti Petracco e Bernabiti hanno reso il Razionalismo mediterraneo di Portolago una sintesi esatta tra la foggia italiana dalle forme ordinate e solenni proprie di una città abitata da personale militare e un taglio ellenico, rispettoso del paesaggio ed a forte vocazione marina, escludendo l’utilizzo delle linee maestose proprie del Regime, già sperimentate in Patria e nelle Colonie, ove anche una stazione di benzina riusciva a richiamare alla mente un monumento ai Trasvolatori atlantici. Qui l’umiltà della popolazione autoctona e il suo temperamento mite è fedelmente riprodotto nella costruzione di edifici consoni al genius loci.
Evidentemente è questo il motivo per cui ancora oggi, nel costruire o nel ristrutturare le abitazioni esistenti, gli abitanti dell’Isola osservano con sorprendente perizia gli stilemi architettonici razionalisti: edifici bassi e lunghi, piante geometriche, angoli ampi e arrotondati, logge con archi a tuttotondo, balconi in stile marittimo, interconnessioni ad angolo di volumi circolari (peculiare la recente costruzione del supermercato in località Kamara, che — ignaro l’architetto, ispirato dall’edificio del fu municipio di Portolago, oggi rosticceria — pare una miniatura stilizzata della Caserma Col. di Montezemolo in Prati a Roma, ex caserma MVSN).
Lo stile di vita italiano
L’isola, oltre ad essere un museo a cielo aperto della seconda guerra mondiale ed un’esposizione permanente del razionalismo architettonico, mantiene un legame con l’Italia grazie alla reminiscenza di molti anziani greci che nacquero e ricevettero l’istruzione obbligatoria durante il possedimento italiano, trasmettendo sovente questa commistione culturale anche ai propri discendenti. È facile infatti notare oggigiorno come lo stile di vita italiano sia apprezzato da molti abitanti; tra i tanti aspetti, in special modo sorprende la passione che gli isolani hanno per la Vespa: da quelle più vetuste e arrugginite condotte dagli ottantenni a quelle finemente restaurate guidate dai ragazzi (spesso personalizzate con tricolori in bella vista) è difficile, stando in strada, distogliere la vista dal viavai di questi mezzi talmente diffusi.
Un grande lavoro di promozione culturale, storica, linguistica ed ambientale viene svolto attualmente dall’Associazione Italiana Amici di Lero, associazione italo-ellenica che organizza sia iniziative di salvaguardia del patrimonio storico italiano, sia attività di cooperazione ed integrazione fra i greci e gli italiani che (stabilmente od in villeggiatura) risiedono a Lero o la frequentano anche solo per turismo. Oltre al prezioso lavoro dell’AIAL, merita una menzione particolare il museo privato “Deposito di Guerra” di Ioannis Paraponiaris, collezionista greco innamorato della sua storia e dunque innamorato anche del Dodecaneso italiano. Paraponiaris, da poco venuto a mancare, è riuscito nel tempo a rendere la propria collezione di reperti e documenti — arricchita da un plastico dell’Idroscalo Rossetti di impressionante fedeltà — talmente accurata, da essere apprezzata quanto il museo comunale “Tunnel War Museum” a Merikià.
Per il visitatore italiano essere in relazione con quest’isola e fruirne consapevolmente — in un periodo in cui, al contrario, molte altre località egee vengono ‘consumate’ da un turismo massificato, distratto e profittatore — è un dovere nei confronti di un luogo che rappresenta un patrimonio culturale che i nostri stessi padri hanno contribuito a costruire.
Alberto La Peccerella
3 comments
In realtà dopo che i tedeschi e la MVSN buttarono a mare badogliani e britannici non ci fu “dominazione tedesca” ma la RSI. Lero rimase italiana anche con la repubblica sino al 10 febbraio 1947. Ps in italiano non esiste Kos ma Coo. Atrimenti, Leros, Rodos etc
Grazie all’autore per l’articolo ed a P.R. di Colloredo per il commento: tutto molto interessante.
Io sono innamorato di leros e delle sue vicende tragiche dopo 8 settembre di cui e rimasta indelebile la figura di un italiano a prescindere da che parte stava l ‘ amm.mascherpa