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“L’esorcista” torna in versione restaurata in alcuni multisala italiani: appassionati già in delirio

by La Redazione
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Esorcista film

Roma, 24 sett –  Il 25, 26, 27 settembre (da lunedì a mercoledì) alcuni multisala proietteranno il film horror più celebre di sempre, L’esorcista: il primo, l’originale, in versione restaurata in 4K. L’occasione è un doppio anniversario: il cinquantennale del film stesso, e il centenario della Warner Bros. Dopo l’annuncio dell’iniziativa il regista del film, William Friedkin, si è spento a Bel Air (il 7 agosto: a fine mese avrebbe compiuto 88 anni). Era atteso alla mostra del cinema di Venezia, che dieci anni fa gli aveva consegnato il Leone d’Oro alla carriera.

L’esorcista più celebre del cinema

Iraq: padre Merrin, anziano archeologo e padre gesuita, resta sbigottito dal ritrovamento d’una statuetta ritraente il demone assiro Pazuzu: comprende che l’antico avversario gli sta annunciando la loro prossima sfida. Georgetown (sobborgo di Washington): Regan, figlia preadolescente dell’attrice Chris MacNeil, dopo aver giocato con una tavola “oui-ja” comincia a dare segni di squilibrio sempre più sconvolgenti. Né gli esami neurologici né i consulti psichiatrici offrono una soluzione: Chris, non credente, è così convinta a rivolgersi al padre gesuita Karras, in crisi di fede e in preda a feroci rimorsi dopo la morte, in condizioni di indigenza, della madre. Mentre il tenente Kinderman indaga sulla stranissima morte di Dennings, il regista che sta girando un film con Chris, il sempre meno incredulo Karras si prepara ad assistere Merrin nella terribile lotta col Nemico per antonomasia: Satana.

Un film horror che ha fatto storia

I successi “usa-e-getta” al botteghino di oggi (cosa resterà del “Barbenheimer”?) non rendono l’idea di cosa dev’essere stato il fenomeno di The Exorcist: sono eloquenti però le immagini dei notiziari dell’epoca, che filmavano le code chilometriche fuori dai cinema (davanti ai quali, il fatto è celebre, stazionavano delle ambulanze: i malori erano frequentissimi). Molti fra coloro che entravano in sala dopo ore di attesa (dopo magari aver aspettato più d’una proiezione) scappavano a gambe levate prima che il film finisse. Nemmeno il successo finanziario (considerando soltanto il ricavo dell’uscita in sala: 430 milioni di dollari, per un film che ne era costati 12), e neanche il luogo comune del “primo film horror serio” (Rosemary’s Baby di Roman Polanski precede L’esorcista di cinque anni – oltre a essere un film migliore; ma già all’epoca del muto risalgono pietre miliari – Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, 1920; Vampyr di C.T. Dreyer, 1932; Nosferatu di F.W. Murnau, 1938) bastano a spiegare che nel cinema dell’orrore (ma anche nell’immaginario pop) c’è un prima e dopo L’esorcista. Soltanto Il padrino di Coppola e Blade Runner di Scott hanno segnato così tanto l’immaginario occidentale (Casablanca è ormai più “di nicchia”, i film di 007 e di Guerre stellari sono delle epopee e comunque si rivolgono a un pubblico “specializzato”).

Le sciagure di sequel, prequel e telefilm non esauriscono il retaggio dell’Esorcista. Nel 1977 un ottimo regista inglese, John Boorman, ne girò il primo seguito, L’esorcista II – L’eretico: cast prestigiosissimo (protagonista Richard Burton; James Earl Jones; Paul Henreid, il marito della Bergman in Casablanca, al suo ultimo film; musiche di Ennio Morricone), intenzioni ambiziose (portare al cinema le teorie di Teilhard de Chardin: che però non credeva nell’esistenza del demonio, e non è un dettaglio), nessuno spavento e nessuna paura: un fiasco terribile, nonostante le bellissime scene del dialogo telepatico fra Burton/Lamont e von Sydow/Merrin. Finché ha avuto fiato, Friedkin ha lanciato contumelie verso il povero Boorman che non se n’è mai difeso, umiliato e forse in preda al rimorso per aver ingannato Max von Sydow: il grande attore bergmaniano detestava il primo film, e fu convinto da Boorman a tornare nei panni di Merrin con la promessa di fargli indossare quelli di Merlino in un film che stava scrivendo sulle imprese di re Artù. Boorman girerà Excalibur, rimangiandosi però la promessa fatta a von Sydow: il suo Merlino sarà l’inglese Nicol Williamson, che ha un ruolo proprio in L’esorcista III: il coraggiosissimo padre Morning, che non arretra di fronte al martirio pur di sconfiggere il demonio nel capitolo finale, diretto dallo stesso Blatty. L’esorcista III non è ovviamente alla pari del capostipite, ma è un horror di buon livello – grazie anche a due scene da antologia: il sogno di Kinderman (col volo della cavalletta in L’eretico, la scena migliore di tutta la saga) e il pianosequenza nei corridoi dell’ospedale.

È stato poi girato un doppio prequel, L’esorcista – La genesi, con Stellan Skarsgard a sostituire il suo collega e connazionale nella tonaca di Merrin: dopo il rifiuto, da parte dei produttori, della versione girata da Paul Schrader, nei cinema è stata distribuita quella girata, con più appeal per il pubblico, da Renny Harlin. Non solo film: L’esorcista è stato anche un telefilm (prodotto da Fox tra il 2016 e il ’17) che, dopo una promettente e minacciosa prima puntata, è scaduto nella solita rissa; e un bello spettacolo teatrale, scritto da John Pielmeier nel 2012 e portato sul palco da Richard Chamberlain negli USA e da Gianni Garko in Italia – uno degli ultimi spettacoli messi in scena dal Teatro Nuovo, Milano nell’autunno 2019.

Imitazioni più o meno degne

Innumerevoli le imitazioni: la prima in ordine cronologico fu il turco Seytan, considerato una piccola sagra del ridicolo; appaiato nel tempo, ma assai pregevole, l’italoamericano Chi sei? con Gabriele Lavia (che quasi dieci anni dopo sarà protagonista d’un “cult” dell’orrore: Zeder di Pupi Avati) nel ruolo di un discografico che cerca di salvare la moglie da un patto stretto col diavolo da un precedente amante di lei. L’onda lunga dell’Esorcista porterà al successo di Il presagio, con Gregory Peck diplomatico statunitense che suo malgrado adotta a Roma un piccolo anticristo: il continuo parallelo Satana/bambini, cominciato col meraviglioso Rosemary’s Baby di Polanski, sembra dar ragione a Max von Sydow, che si pentì d’aver accettato l’ingaggio durante le riprese del rito: mettere in scena due adulti che urlano contro una ragazzina gli sembrò un riflesso della fobia, allora dilagante, per la sovrappopolazione del pianeta.

Con tutte le sue esagerazioni e le sue idiosincrasie, L’esorcista è comunque uno degli ultimi film autenticamente religiosi che si siano visti nella grande distribuzione. Sì, la lotta contro il demonio si conclude con quello che sembra un pestaggio: ma al di là della manifestazione fisica, lo scontro avviene davvero sul piano spirituale: Merrin e Karras si armano di autentica fede in Cristo e combattono con etica da samurai in Suo nome; e Satana si manifesta, ancor più che nella violenza fisica, nella degradazione e nell’abbruttimento.

Il diavolo, probabilmente

Lo spettatore dell’Esorcista si dota di pazienza e sopporta due ore (di cinema fatto con tutti i crismi: Friedkin era il regista del momento, e la fotografia di Owen Roizman è rimasta ingiustamente digiuna di premi) in attesa dello scontro, come si guardano i match minori di boxe prima dell’incontro di cartello: sì, c’è crudeltà nel vedere due uomini che bullizzano un’adolescente, e forse molti genitori guardano la scena con un po’ di compiacimento vendicativo); L’esorcista ha comunque qualcosa più di molto del cinema dell’orrore che lo ha seguito. È il capostipite, ha fondato un genere a sé; è girato meglio (a parte qualche sciatteria nella sceneggiatura – il dialogo fra Chris e Kinderman è bruttino), ed è stato realizzato con la precisa intenzione di fare qualcosa di grande (può sembrare una sciocchezza, ma aiuta); ma soprattutto, è uno degli ultimi grandi film religiosi. Uno degli ultimi film che dichiara apertamente l’esistenza d’un Male ultraterreno, ma soprattutto del Dio contro il quale esso si rivolta.

La mancanza di questa dimensione è, assieme all’assenza di idee, originalità, cultura e qualità, ciò che ha condannato alla mediocrità quasi tutti i film “demoniaci” tra gli anni ’90 e Duemila: i pessimi L’ultima profezia, Giorni contati, Costantine, Gli occhi del diavolo, e tanti altri film dove oltre a confondere lo spavento (ridotto per lo più al sobbalzo provocato col solito “jump scare”) con la paura (l’inquietudine profonda, perdurante e strisciante) si butta tutto in caciara, e la lotta fra bene e male non è altro che una violenta, tediosissima rissa. Eppure Merrin lo dice chiaramente: il Diavolo prova a indurci alla disperazione. Perché si dovrebbe materializzare per fare a botte? A Hollywood lo credono perché è più facile – e perché è un modo per negare la trascendenza.

Nei film della saga The Conjuring (quelli riguardanti le imprese dei coniugi Warren: gli spin-off, da The Nun in poi, sono rumore di fondo) la dimensione dell’Esorcista c’è: forse James Wan è il solo degno erede del capolavoro di Friedkin. Come nell’Esorcista, il Maligno in Conjuring si manifesta con la degradazione (spesso un indizio della sua presenza è qualcosa che marcisce), con la disperazione, con la perdita di fede. Si tratta poi di film eleganti, colti, intelligenti: il che aiuta. E fanno paura.

Storia di una pietra miliare

A settembre se ne celebra il cinquantennale, ma L’esorcista uscì subito dopo il Natale 1973 (con grande disappunto di Friedkin, che temeva che l’atmosfera festiva ne avrebbe compromesso il richiamo): prevista per l’autunno (Halloween ha, negli USA, una portata almeno pari a quella del Natale in Europa), l’uscita fu posticipata per problemi nella postproduzione. Le riprese si svolsero dalla metà di agosto del 1972 ai primi del ’73: gli esterni furono girati a Washington, e le ultime scene girate furono quelle in Iraq.

Il film è tratto dal romanzo (a sua volta ispirato da un esorcismo realmente praticato da sacerdoti cattolici su di un ragazzino di famiglia luterana nel Maryland, nel 1949), un “istant seller”, di William Peter Blatty, ex allievo dei gesuiti a Georgetown (il Karras del romanzo è un autoritratto, piuttosto lusinghiero: altissimo, muscolosissimo, intelligentissimo, coraggiosissimo). Blatty stesso ha adattato la sceneggiatura (premiata con un generoso Oscar), e ha un cameo nel film: è l’assistente che prova a far ragionare Dennings sul set del film. Un omaggio scherzoso al suo rapporto con Friedkin, del quale lo scrittore diventò amico durante le riprese (a ciò si riferisce anche la citazione da Casablanca – “questo potrebbe essere l’inizio d’una grande amicizia” – con la quale Kinderman accalappia Dyer a fine film): un’amicizia rimasta intatta anche dopo le perplessità che fecero rifiutare a Friedkin di dirigere il terzo episodio.

Friedkin ha raccontato che la comparsa che interpreta l’infermiere che pratica una risonanza magnetica si è poi scoperto essere il serial killer omosessuale i cui misfatti sono al centro di Crusing, il poliziesco da lui diretto nel 1980, con protagonista Al Pacino.

L’attore più noto del cast era lo svedese Max von Sydow, uno tra i maggiori interpreti del cinema di Ingmar Bergman (che lo rese celebre come il cavaliere Antonius Block, che sfida la Morte a scacchi in Il settimo sigillo: l’immagine del sorteggio per le pedine bianche e nere sulla spiaggia è “iconica” almeno quanto la locandina, ispirata da Magritte, dell’Esorcista): di gran lunga il componente più esperto e capace del cast, fu anche quello più in difficoltà. Spiazzato dalla scoperta di interpretare Merrin (dopo aver letto il romanzo, era convinto di essere stato scelto per il ruolo di Karras, allora suo coetaneo), dovette sottoporsi – allora quarantatreenne – all’assillante applicazione d’un trucco prostetico che lo facesse sembrare ottantenne; allora non credente (colpa di Bergman: allontanandosene, trovò la fede), aveva difficoltà a recitare il rituale (la sua voce tonitruante durante i primi ciak si riduceva a un mormorio); il turpiloquio col quale Friedkin dirigeva il set lo lasciava sgomento; e quando lo seguì in Iraq per girare il prologo, il sole cocente e il caldo opprimente furono una tortura, per lui biondo, occhiceruleo e pallido. La sua interpretazione hollywoodiana più famosa – l’indomito Lankester Merrin, ispirato al gesuita Teilhard de Chardin – è ottima, considerando le difficoltà e penalizzazioni; ma il gigante di Lund farà di meglio (dall’elegantissimo sicario francese Joubert in I sei giorni del Condor, al crudelissimo e stupidissimo imperatore extraterrestre Ming lo Spietato in Flash Gordon). Del tutto esordiente al cinema l’altro prete esorcista, Jason Miller ossia lo psichiatra d’origine greca Damien Karras, forse l’interpretazione migliore del film. Jack MacGowran, attore teatrale irlandese noto soprattutto per aver interpretato lo svampitissimo professor Abronsius in Per favore non mordermi sul collo di Polanski, è Burke Dennings, il regista alcolizzato e sboccato amico di Chris. Lee J. Cobb, ossia il tenente Kinderman, dopo L’esorcista sarà celebre in Italia per il ruolo del perfido commendatore Benzi, il nemico dello sventurato Franco Gasparri nei film di “Mark il poliziotto”. A parte la sorprendente Linda Blair, il reparto femminile del cast è assai debole: appena mediocre la prova di Ellen Burstyn (Chris), che l’anno dopo vincerà l’Oscar per Alice non abita più qui di Martin Scorsese; e sotto la sufficienza quella della belloccia Kitty Winn (Sharon, l’amica di Chris che accudisce Regan), che si era segnalata due anni prima al fianco di Al Pacino in Panico a Needle Park (i patimenti, diretti da Jerry Schatzberg, d’una coppia di eroinomani): farà di peggio in L’esorcista II e sparirà. Valide invece le prove di due autentici gesuiti: Thomas Bermingham (padre Tom, rettore di Georgetown e mentore di Karras) e William O’Malley (padre Dyer, l’amico fraterno di Karras), noto anche come autore di libri per bambini.

La Warner Bros avrebbe ingaggiato Marlon Brando e Jack Nicholson per interpretare i due gesuiti, ma Friedkin temeva che i rispettivi nomi avrebbero adombrato il film in sé: eppure, lui stesso aveva contattata la superdiva Audrey Hepburn (che sembra lecito immaginare sarebbe stata una Chris molto migliore della Burstyn), che non recitava da cinque anni (Gli occhi della notte, 1967, diretto da Terence Young, dove è una cieca braccata da due delinquenti: un thriller con finale horror) e, sposata con un medico italiano, poneva quale condizione che il film fosse girato a Roma. La Hepburn tornerà sul set soltanto nel ’76, diretta da Richard Lester e al fianco di Sean Connery per il tristissimo Robin e Marian; il suo autentico canto del cigno, data la bruttezza dei tre suoi ultimi film (Linea di sangue, ancora di Young; … e tutti risero, la solita sbobba di Bogdanovich con i soliti equivoci fra i soliti personaggi che si rincorrono; e il terribile Always di Spielberg). Friedkin pretese, invece di Brando, l’ingaggio di von Sydow, che considerava uno dei migliori attori dell’epoca (il regista si era poi recentemente interessato all’opera di Teilhard de Chardin, il gesuita realmente esistito al quale Blatty aveva dichiaratamente ispirato il personaggio di Merrin, e dopo aver visto una foto di Teilhard, Friedkin confermò che poteva essere soltanto von Sydow); e al posto di Nicholson (che si rifarà ampiamente con Shining di Kubrick) scelse Jason Miller, allora sconosciuto, dopo averlo visto a Broadway.

Voci italiane di vaglia: Giancarlo Giannini doppia Miller/Karras (sarà la voce italiana anche di Nicholson/Torrance in Shining); Giancarlo Sbragia doppia von Sydow/Merrin; Corrado Gaipa doppia Cobb/Kinderman; Adalberto Maria Merli doppia il dottor Barringer (il primario della clinica che consiglia a Chris un esorcismo).

Uno dei principali meriti dell’Esorcista è aver lanciato la carriera del grande Mike Oldfield, geniale polistrumentista gallese. La sua composizione Tubular Bells è appena accennata nel film e torna nei titoli di coda: il successo del disco accompagnò quello del film. Dieci anni dopo, il singolo di lancio del meraviglioso album Crises consegnerà a Oldfield un altro successo almeno pari a quello di Tubular Bells: la canzone Moonlight Shadow, una fra le più belle del secolo scorso. Cinquant’anni dopo, L’esorcista resta un grande film sulla lotta tra il Bene e il Male. E ci avvisa: è laddove non si crede alla trascendenza, che il Diavolo prospera. Chissà perché a Hollywood non si fanno più film al riguardo?

Tommaso de Brabant

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