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Liberiamoci dal 25 aprile e restituiamo il fascismo alla storia d’Italia

by Redazione
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SciusciaRoma, 25 apr – «Liberazione» è una parola dal significato chiaro e inequivocabile. Per questo, 71 anni dopo, sembrerebbe finalmente giunto il momento per mettere seriamente in discussione i presupposti di questa “festa” del 25 aprile, che tutto rappresenta tranne che la restituzione dell’indipendenza e della sovranità per il nostro paese. 71 anni fa, infatti, gli americani portarono a termine la loro guerra imponendo il dominio del dollaro e della (geo)politica a stelle e strisce sull’Italia, e le basi militari sul nostro suolo sono ancora lì a ricordarcelo ogni giorno. Difficile pensare a una “nostra” vittoria: il contributo partigiano fu irrisorio, aspetto che ormai costituisce un dato di fatto a livello storiografico. Ma il 25 aprile “doveva” divenire simbolo soprattutto per via dei partigiani comunisti, che avevano egemonizzato il movimento di Liberazione (tanto da compiere eccidi anche nei confronti dei partigiani bianchi) e sognavano una rivoluzione armata per imporre anche da noi il modello sovietico.

Un sistema ben poco democratico, pare di ricordare, tanto che viene da chiedersi come facciano molti a festeggiare ancora oggi parlando di lotta alla barbarie totalitaria fascista da parte di combattenti democratici. Chi decise le sorti della nazione (e il suo collocamento nel blocco atlantico) furono solo le potenze straniere, dando il via a una serie di ingerenze politiche ancora di moda in questi tempi di crisi. Ecco perché si tratta di una ricorrenza sempre meno sentita, rivendicata con orgoglio quasi solo dagli sparuti eredi della “macelleria messicana” e del “triangolo della morte”, gli stessi che si schierarono contro i loro connazionali nel caso delle foibe e dell’esodo istriano, in nome della solidarietà internazionale comunista. Preso atto di ciò, difficile pensare che il 25 aprile possa avere senso per chi combatte per l’autodeterminazione e l’orgoglio della patria.

Al contrario, chi volesse dare senso alla propria battaglia non dovrebbe far altro che restituire la pagina relativa agli anni del fascismo al grande libro della storia italiana, per riprendere così in mano il filo rosso della nostra identità perduta. Perché, come ha ricordato Adriano Scianca, il fascismo «seppe farsi forza non solo di massa, ma anche nazionale. Non parliamo solo dei numeri (e negli “anni del consenso” l’adesione all’avventura di Mussolini sfiorò davvero l’unanimità) ma anche di sostanza: istituendo un asse (a torto o a ragione, nella storia, non conta) fra Regime, Grande Guerra e Risorgimento, il fascismo si è inserito indelebilmente in una narrazione collettiva da cui l’antifascismo rimane carnalmente estraneo. Fascismo e Italia, per 20 anni, sono stati sinonimi. Anche fascismo e Stato sono stati a lungo sinonimi, con segni tangibili che restano anche nell’impalcatura statuale di oggi». Le camicie nere ravvivarono la fiamma risorgimentale e si fecero forza delle pulsioni scaturite dalle trincee della Prima guerra mondiale per «fare gli italiani» e trovare una via autonoma allo sviluppo, l’«insubordinazione fondante» (per usare una categoria coniata da Marcelo Gullo) contro i modelli stranieri nel segno del tricolore. Il corporativismo fascista era il frutto della nostra migliore tradizione da Roma fino a Corridoni passando per Mazzini, nell’idea del cittadino richiamato alle più alte responsabilità per una partecipazione attiva e feconda alla vita politica del paese nella sua qualità di lavoratore. La meta era l’identità tra Stato e individuo in nome della collaborazione di classe, per creare una concreta solidarietà organica nazionale: ecco il significato dello Stato etico gentiliano che «trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale».

Tutt’altro che una brutale negazione della democrazia, tanto che Giuseppe Bottai (tra le tante intelligenze da riscoprire del fascismo) parlò di un completamento e un superamento dei principi della Rivoluzione Francese in opposizione alle finzioni demagogiche e al dominio dell’economia che caratterizza le democrazie parlamentari. Con tutti gli errori e le contraddizioni del caso, questo fuoco divenne esempio a livello internazionale (epigoni sorsero in tutto il mondo), come spesso avviene quando si mette all’opera il genio italiano con spirito di comunità. Persino gli Stati Uniti vennero a studiare l’architettura economica e statale della terza via fascista. Il passaggio finale fu segnato, nei mesi disperati della Repubblica Sociale Italiana, dalla socializzazione delle imprese, pagina effimera quanto titanica e tutt’altro che scontata. L’ultimo messaggio di civiltà non solo dei fascisti, ma anche di quell’Italia che sin dai tempi dell’Unità aveva faticosamente cercato il suo posto e la sua autonomia di fronte alle potenze dominanti, che troppo spesso l’avevano limitata. Non è un caso che il primo atto di queste ultime (i “liberatori”) fu proprio lo smantellamento delle più ardite concezioni sociali del Regime, dalla Carta del Lavoro ai Consigli di Gestione socializzati. Finalità: distruggere quegli istituti che avevano segnato indelebilmente la storia italiana e europea contro il materialismo che accomunava Unione Sovietica e Stati Uniti, la «Santa Alleanza dell’egualitarismo» (come l’ha definita acutamente Valerio Benedetti) che avrebbero potuto essere preziosi anche senza il Regime. Proprio allora, con la “vittoria” del 25 aprile, i partiti satelliti di Mosca e Washington (PCI e DC) non seppero raccogliere ciò che di valido rimaneva dell’esperienza fascista, cominciando invece quell’assurda opera di costruzione di un’identità «autorazzista», di cui oggi più che mai si respirano le nefaste conseguenze.

Nonostante diverse eccezioni, universalismo cristiano e internazionalismo marxista diedero frutti avvelenati: nessuna fiducia nella propria Nazione, nessuno slancio costruttivo, ripudio dei concetti di «comunità», «Patria», «confine» e delle pagine di civiltà che erano state scritte «per l’onore d’Italia». Tanto che Mattei, per consegnare al paese il miracolo dell’ENI (sorto dall’AGIP fascista), dovette agire in opposizione alle indicazioni partitiche. Insomma, inutile andare a cercare improbabili rivoluzioni dall’altra parte del mondo per combattere il mondialismo, la finanza, l’egemonia americana e le gabbie europee: la via rivoluzionaria e italiana per riappropriarci del nostro destino è ancora lì, dove fu interrotta nel sangue da chi ha sempre odiato i nostri inimitabili slanci. A livello ideale si tratta di fonti ancora vive: non solo Mazzini, ma Berto Ricci, Gentile, Massi, Bombacci, Spinelli, Pound, Solaro e nel dopoguerra Mattei e Olivetti. Riprendiamo in mano la nostra identità contro le ingerenze straniere (e ogni complesso d’inferiorità) in nome di una lotta che sia di «Liberazione», concetto dal significato chiaro e inequivocabile.

Agostino Nasti

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13 comments

Martino 25 Aprile 2016 - 1:33

Ogni volta che sento parlare di liberazione mi vien da liberare una scorreggia. Ogni volta che sento parlare di resistenza resisto alla tentazione di andare a pisciare sul primo sacrario dedicato a quei banditi imboscati che si facevano chiamare “partigiani”.

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Paolo 25 Aprile 2016 - 5:47

Concordo con lei, così come concordo con l’ articolo, nello spirito così come nelle parole.

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Cesare 25 Aprile 2016 - 3:04

Liberazione!!!???Ma se oggi siamo di fronte ad un Italia schiava dei banksters stranieri mondialisti atei,pro-gay,pro-immigrazione selvaggia con il fine di demolire le identità nazionali!E abbiamo una ECB (e banca d’italia che ne detiene il 16%)privata che stampa pezzi di carta a costo zero e in cambio continua a prendersi tutte le ricchezze pubbliche e private.E pensare che nel 1935 il fascismo si libero’ della massoneria straniera e degli usurai nazionalizzando la creazione di denaro a costo zero e facendo le banche pubbliche(per questo e non per l’Etiopia ci fecero le sanzioni). E questo grande vantaggio ottenuto dagli uomini che gli italiani massacrarono a piazzale Loreto e anche dal contributo degli altri massacrati dopo il 25 Aprile ci rese possibile il grande boom degli anni 60 e il diventare nel 1990 la 5a potenza industriale del mondo.Nel 1992 con la privatizzazione e svendita delle banche pubbliche che detenevano il 60% di Banca d’Italia abbiamo consegnato la creazione del denaro gratuito agli usurai e decretato la fine prossima della nostra storia nazionale con la nostra riduzione in schiavitu’ totale
C’è un avvocato in rete che sostiene che il 75% dei politici italiani dovrebbe essere processato per alto tradimento della nazione, previsto nel codice penale con pene dai 5 anni all’ ergastolo.Perchè quando svendi il tuo paese e le sue ricchezze a stranieri, non sei altro che un traditore

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Sal Taurasco 25 Aprile 2016 - 8:51

Continuare a festeggiare il 25 aprile, ovvero la sconfitta, l’umiliazione e la messa in ridicolo dell’Italia, l’occupazione americana e qualcosa che ormai sconfina nella patologia psichiatrica.
La cosa divertente oggi è stato vedere il litigio fra l’Anpi e la brigata ebraica, davvero le liti da cortile da pezzenti!

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rino 25 Aprile 2016 - 11:12

Ben detto!

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rino 25 Aprile 2016 - 11:35

E’ talmente falsa questa festa che non è necessario conoscere la storia: basta prendere un dizionario di lingua italiana e leggere cosa c’è scritto alla voce ‘liberazione’, dopodiché bisogna aprire gli occhi e vedere se le decine di basi militari di un paese straniero su suolo Italiano concordino con il significato prima letto.
Chi ciononostante continua a reputare il 25 aprile come festa della liberazione è affetto da sindrome del prosciutto davanti agli occhi!

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tim 26 Aprile 2016 - 12:27

il giappone,la germania non festeggiano proprio niente,
l’austria festeggiava a maggio la festa di liberazione…poi abolita ed ora festeggiano a novembre una festa nazionale che risale a novembre 1958 data nella quale l’ultimo soldato americano lascio’ il suolo austriaco.
in romania si festeggiava il 20 agosto 1944 giorno in cui i sovietici
liberarono i romeni dal nazifasismo.oggi da una decia d’anni questa
data e’ stata abolita-
in belgio in questo periodo hanno il trittico freccia vallona,parigi rubaix e gand wevelgem da noi comincia il trittico-trinita’
25 aprile,1 maggio 2 giugno..
contenti gli italiani…..

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Antonio 26 Aprile 2016 - 10:37

Il Fascismo italiano, il Nazismo tedesco, il Comunismo sovietico sono DITTATURE. C’è poco da girarci intorno. Volete voi una dittatura? Sì o no. Punto. Il resto: celebrazioni, celebrazioni, celebrazioni, celebrazioni… Ancora date retta a queste cose? Ignoratele e basta. Sempre a far la conta dei morti, dei caduti, sempre a leccarsi le ferite. Chiedetevi solo se desiderate una dittatura o no e agite.

Io purtroppo per me sono sfavorevole alla dittatura e alla violenza. Purtroppo per me non sopporto lo squadrismo e il branco. Quindi agisco di conseguenza. Spesso solo contro molti. Ma fa niente, finché c’ho fiato vado avanti.

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Pietro 26 Aprile 2016 - 1:59

Dittatura non equivale a male supremo,ed è importante ricordare che anche le dittature sono forme di governo che richiedono legittimità.
Il Fascismo non fu una dittatura,Mussolini fu posto Capo del Governo dal quel traditore del Re.E fu poi destituito dalla giunta,giunta a cui mal andava il corporativismo di Mussolini e che furono protagonisti della sconfitta dell’Italia in guerra,basti pensare alle patetiche lotte per ritardare il più a lungo l’acquisto del brevetto del Panzerkampfwagen tedesco,complici e servi degli inglesi e francesi,massoni e traditori della patria.
Il Nazionalsocialismo vinse le elezioni,Hitler fu posto capo del governo e ricevette legittimazione da gran parte della popolazione tedesca,basti pensare alla battaglia di Berlino dove sia giovani che anziani si presentarono tutti per difendere la Nazione contrariamente dai nostri,e dalle popolazione austriaca,l’Anschluss fu votato favorevolmente dalla quasi totalità della popolazione.
Il Comunismo anche ricevette legittimità,alta inizialmente ma scemò via via col tempo anche se i nostalgici del comunismo esistono ancora.Stalin non era un ideologo,ma un opportunista,e arrivato alla guida della Russia,la paura di perdere il potere,lo fece diventare paranoico.Stalin fu un tiranno,ognuno poteva essere sostituito in ogni momento,la NKVD uccideva gente più per mantenere una quota che per motivi politici.Quando diventavi troppo potente o avevi troppo seguito,sparivi anche dalle fotografie.
Basti vedere i numeri delle esecuzioni per motivi politici e si nota subito che qualcosa non quadra tra tutte e tre le dittature,senza contare che la pena di morte era la norma ai quei tempi e l’ergastolo pesava,e pesa,sulle casse dello Stato.
La democrazia made in USA non è altro che una tirannia di molti re,niente più e niente meno,la quale è anche peggiore di un re solo in quanto anche un re ogni tanto deve riposarsi.Si guardi intorno,non vede la violenza e lo squadrismo anche qui?Non vede che avere un opinione sbagliata e difendersi risulta in prigionia e sequestro dei beni?Pensi all’Europa che non è altro che un’istituzione fatta e creata ad hoc,la cui sede è ironicamente circondata da tutte le più grandi multinazionali.Il Parlamento europeo conta nulla,il Consiglio Europeo prende le decisioni e i suoi membri non rendono conto a nessuno,veda il Trattato di Lisbona che fu forzato a tutta l’Europa.
Lei attualmente vive in una dittatura,ma contrariamente a Mussolini,Hitler e anche Stalin se si vuole stare larghi,chi ha il potere non ha il benché minimo interesse ad aiutare la Nazione e il popolo.

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rino 26 Aprile 2016 - 11:55

Ci sono dittature palesi e dittature nascoste. La democrazia praticamente non esiste. Il potere conquistato da un gruppo a scapito di un altro non verrà mai ceduto a questo. E’ solo questo il motivo di queste celebrazioni: escludere la parte avversa dichiarandone la propria inumanità. Altro che democrazia!!
Tuttavia questo specifico sistema di potere che nasconde sempre il gruppo che realmente comanda non ha niente di sano: è segno di civiltà, infatti, esercitare il potere portandone i vessilli perché ci si espone ipso facto al giudizio del popolo su cui tale potere si esercita.
Al contrario nascondendosi si palesa la volontà di continuare ad esercitare tale potere in totale impunità.
Poi ci si può anche illudere, ma non si fa altro che porre la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi.

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Anonimo 27 Aprile 2016 - 3:37

Il generale francese Alphonse JUIN

Niente può eguagliare l’orrore che investì le “marocchinate”: è una brutta parola, ma allora la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava. Non solo marocchini, ma anche tunisini, algerini, ecc. Gli storici furono come sempre bloccati, lasciando praticamente sguarnita di studi e ricerche quella pagina dolorosa della nostra storia. Certi eventi, accaduti intorno alla Linea Gustav, non hanno trovato il giusto spazio nei libri della storiografia ufficiale.

Voluta da Hitler nel settembre del 1943, 230 chilometri di barriera difensiva, dal Tirreno all’Adriatico partiva da Gaeta, al confine tra Lazio e Campania fino alla foce del Sangro, a sud di Pescara. La città ciociara di Cassino ne era il nodo. Saranno i soldati del generale francese Alphonse JUIN a ricevere l’ordine di sfondarla. 110 mila soldati: francesi, marocchini, algerini e tunisini sono gli uomini del C.E.F., il Corpo di Spedizione Francese, guidato dal generale JUIN, comandante deciso e ostinato. Ai suoi ordini anche i 12 mila goumiers, arruolati e addestrati sulle montagne dell’Atlante in Marocco.

Il contingente marocchino agli ordini del generale JUIN, i “goumièrs”, sfondano per primi il 13 maggio 1944, i capisaldi della linea Gustav. I tedeschi sono costretti ad arretrare. I profughi vedono arrivare i liberatori. Ma proprio in questi giorni di liberazione ha inizio un saccheggio senza precedenti: i goumiers devastano, rubano, uccidono, violentano. Donne, bambini, ma anche uomini, sono il loro “bottino di guerra”. Le marocchinate, una brutta definizione, ma da allora usata da tutti in quei luoghi e si capisce subito di cosa si parla. Sono le donne che hanno subito la violenza dei soldati marocchini, gli efferati liberatori dall’occupazione tedesca.

I goumiers inoltre andavano all’attacco salmodiando la Chahada (non vi è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta), catturavano i tedeschi per rivenderli (500-600 franchi per un soldato semplice, il triplo per un ufficiale superiore) ai militari americani desiderosi di costruirsi una reputazione guerriera senza rischiare. In Marocco ovviamente sono gli eroi di Cassino.

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Cesare 27 Aprile 2016 - 10:09

Ho letto che quel maledetto di Juin diede diritto di saccheggio per 3 giorni ai marocchini. E dopo la guerra la Francia pago’ una indennità a circa 60 mila donne violentate che fà capire che erano state molte di piu’ quelle reali dato che molte non denunciavano la cosa. Molte presero la sifilide e la trasmisero a quei mariti che non le avevano abbandonate e molte si suicidarono. Gli stupri avvenivano anche in due soldati con una singola donna e lascio a voi immaginare come.Se non trovavano donne violentavano anche vecchi e bambini, e vi è una testimonianza di un bambino a cui,per evitare reazioni in caso di rapportoi orali spaccarono prima tutti i denti.E il pd ha anche un deputato marocchino che ci viene a fare la morale della integrazione!!!!

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Anonimo 27 Aprile 2016 - 3:41

Ovviamente anche allora c’erano differenze tra musulmani che Mussolini ed Hitler rispettvano ed altri islamisti che invece erano influenzati dall’odio dai buoni liberatori

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