Roma, 18 marzo – Alcuni giorni fa, nel consueto siparietto a Che tempo che fa da Fabio Fazio, Luciana Litizzetto si è lasciata andare in qualche sfottò di troppo contro l’Esercito Italiano e sull’incapacità degli italiani in fatto di guerre. Ora, da qualcuno che di solito parla di menopausa e pipì non ci aspettiamo di certo chissà quale capacità di analisi o che difenda l’onore delle armi patrie, ma è comunque significativo il contesto in cui sono arrivate queste prese in giro: una letterina ad Ursula Von Der Leyen per convincerla che il riarmo europeo sia una cazzata.
La sparata autorazzista della Litizzetto
“O gallo sciagurato, non permetterti di chiamare infingardi gli ausoni: se non erro te lo insegnerà la lancia vibrata dalla mia mano”, così, nel poema del X secolo Gesta Berengarii, l’italiano Umfredo risponde al franco Uberto, trafiggendolo con il ferro della propria lancia. Uberto aveva avuto la colpa di irridere i nostri compatrioti: “Perché esponete alle armi crudeli i petti inadatti alla guerra, o italiani?”. Quello degli italiani poco versati nelle arti militari è un topos piuttosto antico, anche se, come fa notare Adriano Scianca ne La nazione fatidica, “si tratta in genere di accuse prontamente vendicate, con l’eroe italiano di turno che uccide il barbaro arrogante, rendendo quindi giustizia all’onore vilipeso”. Un luogo comune fatto proprio anche di recente e soprattutto dagli stessi italiani, nel più classico caso di autorazzismo e complesso di inferiorità. Non sorprende quindi che la Litizzetto, con la sua solita grossolanità, se ne esca fuori con frasi come: “Noi italiani non siamo capaci di fare la guerra, facciamo cagarissimo a combattere”. Oppure, “Se sfoglio i libri di storia sono più le volte che abbiamo perso”. Fino a battute vagamente boomer come “Qui in Italia non abbiamo più neanche la leva obbligatoria, i ragazzi figurati se sanno maneggiare un bazooka, al massimo sanno muovere il joystick della Play”.
Una scusa per non volere il riarmo europeo
Se quei libri di storia la Litizzetto li avesse davvero letti e non solo sfogliati, forse si sarebbe resa conta che è vero il contrario. Di episodi che provino l’eroismo e la capacità militare degli italiani ce ne sono per tutti i gusti, da quelli cavallereschi coma la disfida di Barletta a quelli più moderni come l’impresa di Alessandria. Stare qui a citarli tutti sarebbe prendere troppo sul serio la malafede della Litizzetto. Quello che conta non è solamente il sottotesto autorazzista di quest’ultima, ma anche il messaggio che ne trae. Il punto di arrivo è infatti quello di negare all’Italia e all’Europa ogni volontà di potenza, ogni spinta al riarmo, ogni orgoglio di sé: “L’Europa è nata dopo la Seconda guerra mondiale per dire mai più a quell’ecatombe. È nata per la pace. Non per la guerra”. E ancora, “Nella nostra Costituzione c’è scritto che l’Italia ‘ripudia la guerra’. Non: ‘all’Italia la guerra non sconfiffera’. O: ‘l’Italia la guerra preferirebbe di no’. No: la ripudiamo, nel senso che ci fa schifo, ci fa orrore, che non la vogliamo”. Quella dell’“Europa nata dopo la Secondo guerra” sembra la versione continentale dell’“Italia nata dalla Resistenza”, cioè un mito incapacitante, oltre a una palese falsità. Ma ciò significa che, a non voler il riarmo europeo e di conseguenza quello italiano, è chi vorrebbe l’Europa ferma al secondo dopoguerra: antifascista, disarmata, sotto il tallone degli americani e fuori dalla storia. Il problema è che a pensarla così non è solo la Litizzetto.
Michele Iozzino