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Lo Stato firma la resa: il PSNAI è la fine dell’Italia profonda

by Sergio Filacchioni
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Roma, 2 lug – È uno di quei documenti che in pochi leggeranno, ma che racconta più di mille comizi. Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI), approvato a marzo 2025 e pubblicato nel silenzio generale, dovrebbe rappresentare la grande strategia di rilancio per i territori più fragili del nostro Paese. In realtà, è un atto politico clamoroso: lo Stato italiano ha firmato la resa, rinunciando a invertire il declino demografico e affidandosi alla sostituzione migratoria come unica forma di sopravvivenza territoriale.

La resa demografica: non c’è più margine per invertire la curva

“Un’inversione di tendenza che porti la curva demografica a risalire non sarebbe più all’interno dei margini di manovra delle politiche del nostro Paese” (PSNAI 2025, Allegato CNEL, p. 8). Con questa frase, scritta nero su bianco in un documento ufficiale dello Stato, si chiude una stagione storica. Non si parla più di natalità, né di incentivi alla famiglia, né di ricambio generazionale. Il crollo demografico viene assunto come dato irreversibile, fuori dal controllo della politica. È la fine della sovranità demografica. È la normalizzazione dell’estinzione. Ovviamente, là dove non arrivano più neonati italiani, arrivano migranti. E il PSNAI lo dice senza remore: gli “Stranieri come fattore efficace di compensazione”(PSNAI 2025, Gruppo CENSIS, p. 12) vuol dire che la presenza straniera è ormai l’unico elemento capace di rallentare l’invecchiamento e tenere in piedi l’economia locale. Le aree più “dinamiche” sono quelle con le percentuali più alte di stranieri. Il discorso si sposta rapidamente: non si tratta più di integrazione, ma di sostituzione funzionale. Il problema è che questo avviene senza alcuna strategia culturale o identitaria. Si tratta di un semplice riempimento meccanico: si tappano i buchi demografici con nuove presenze, senza interrogarsi sulle conseguenze sociali ed etniche.

L’eutanasia dei territori: “accompagnare lo spopolamento”

“Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento” (PSNAI 2025, Obiettivo 4, p. 38). Il punto più agghiacciante del documento è senz’altro questo: lo Stato prevede che intere zone del Paese non siano più recuperabili. Non ci si pone l’obiettivo di salvarle, ma di “accompagnarle” nel loro declino irreversibile. Una tanatopolitica pianificata: la gestione compassionevole dell’abbandono. Come se intere comunità dovessero essere “terminali” e lo Stato l’unico badante a garantire una morte “dignitosa”. Ma il paradosso è che i soldi non mancano. Il PSNAI mobilita: oltre 1,2 miliardi di euro dal Fondo di Sviluppo e Coesione; 310 milioni per le 43 nuove aree individuate nel ciclo 2021–2027; risorse complementari dal PNRR, dalla PAC e dai fondi europei (FESR, FSE+); strumenti collaterali come i “dottorati comunali” o le linee per la mobilità rurale. Una mole impressionante di fondi pubblici, che in teoria dovrebbe servire a riattivare i territori. Ma la realtà è un’altra: mancano le priorità, manca la direzione strategica, manca – soprattutto – un’idea d’Italia. Tutto è affidato a un mosaico confuso di attori istituzionali, comitati, tavoli interministeriali e partenariati multilivello.

Governance multilivello: il trionfo del nulla

La parola d’ordine è “governance multilivello”, un termine che evoca partecipazione, ma che nella pratica si traduce in dispersione di responsabilità. Le decisioni vengono delegate a strutture opache: cabine di regia, comitati tecnici, autorità regionali, enti capofila locali. I fondi scorrono, ma nessuno risponde dei risultati. La macchina si muove, ma spesso per alimentare se stessa, più che per generare cambiamento. Il risultato? Piani scritti per far girare i fondi, bandi per alimentare progettifici, e poi l’ennesimo nulla. Nessun figlio in più, nessuna scuola riaperta, nessuna famiglia ritornata. A leggere il PSNAI, si ha l’impressione di un sistema che non vuole più salvare nulla, ma solo gestire l’estinzione con efficienza amministrativa. Una strategia che, di fatto, normalizza l’abbandono e ne organizza i tempi, i flussi, persino i bilanci. Si spende per chiudere, si investe per archiviare. Il cittadino non è più visto come soggetto da trattenere, ma come variabile da accompagnare fuori scena.

Un piano senza Nazione

Il PSNAI 2025 non è un piano per rifare l’Italia. È un piano per la sopravvivenza della burocrazia pubblica, non per quella delle comunità locali. Si spendono miliardi senza mai porsi la domanda fondamentale: a chi serve tutto questo, se tra vent’anni in quei borghi non abiterà più nessuno? L’abbandono non è più un effetto collaterale: è la strategia. E la “governance multilivello” è il perfetto dispositivo per non dover mai rispondere a nessuno. Il PSNAI 2025 è, nei fatti, un manifesto della rassegnazione post-nazionale. Invece di difendere il diritto delle comunità a esistere e prosperare, legittima la loro fine. Invece di promuovere il ritorno dei giovani italiani nelle campagne, esalta la capacità sostitutiva dei flussi stranieri. Invece di investire in natalità, infanzia, lavoro, preferisce accompagnare al tramonto ciò che resta della nostra civiltà rurale. Finché il declino sarà gestito e non combattuto, ogni euro speso sarà solo un altro chiodo sulla bara dell’Italia profonda.

Sergio Filacchioni

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