Roma, 11 Ott- A Nemi l’enorme ricchezza del patrimonio storico e la straordinaria stratificazione archeologica meritano un approfondimento.
Un momento importante nel dibattito critico attorno al complesso architettonico di Nemi è segnato dal fondamentale intervento di Giuseppina Ghini “La villa di Caligola, le navi imperiali e il Santuario di Diana” pubblicato a Roma nel 2004.
La studiosa sottolinea infatti come la villa fosse il risultato di una serie di stratificazioni archeologiche distinte in 4 grandi fasi: la prima fase risalente alla prima metà del I secolo a.C, una seconda coincidente al 20-40 d.C., cioè al regno di Caligola, una terza fase corrispondente alla tarda età neroniano-flavia (60-80 d. C.) ed infine una quarta risalente all’età di Adriano ( 117-138 d. C.).
Nella prima fase la villa ebbe dimensioni ridotte (m. 260 x 60) e di essa restano scarsi resti, poiché venne quasi totalmente rasa al suolo e ristrutturata: non si conoscono le funzioni dei vari ambienti, ma doveva avere un atrio dove poi venne realizzato il peristilio, un portico con un semi-colonnato dorico in corrispondenza del successivo portico a “pi greco” e forse si affacciava con un secondo portico monumentale sul lago, come proverebbe il rinvenimento di un capitello dorico, molto simile a quelli rinvenuti nel Santuario di Diana.
Nella seconda fase, quella che ci interessa approfondire e corrispondente all’età di Caligola, la Villa e l’intero complesso architettonico conobbe un notevole arricchimento: la residenza venne ricostruita, con una pianta più ampia e con un assetto che fondamentalmente rimase anche nelle fasi successive, riutilizzando materiali e decorazioni architettoniche.
Frontalmente alla villa sorgeva il Santuario di Diana. Il tempio di Diana Aricina o Nemorense era un enorme complesso collocato a Nemi, su un’area di 45.000 metri quadrati dal perimetro di 200 metri per 175, sostenuta a valle da costruzioni triangolari e a monte da nicchie semicircolari e un terrazzamento superiore.
All’interno della struttura correvano due portici di ordine dorico, uno con colonne intonacate in rosso, l’altro con colonne di peperino grigio scuro; vi erano statue, ambienti per i sacerdoti, alloggi per i pellegrini, celle donarie, un tempio, bagni idroterapici e perfino un teatro; di tutta questa struttura sono visibili una parete di nicchie una parte del pronao con almeno un altare votivo, e alcune colonne.
La maggior parte del tempio, che si allargava su una superficie di oltre 5000 metri quadrati, è tuttora da riportare alla luce. Le parti più alte, come le nicchie, che affiorano dal suolo per diversi metri la dicono lunga sulla maestosità che il tempio possedeva e che sarebbe interessante recuperare nella sua totalità architettonica.
Che esistesse uno stretto rapporto, non solo fisico-topografico ma anche religioso e funzionale tra il Santuario e la Villa à dimostrato del resto dalla loro reciproca posizione: dalla riva sud-occidentale del lago, dove si trova la villa, si possiede una vista diretta sul Santuario, situato sulla riva nord-orientale.
L’enorme sontuosità del luogo era inoltre incrementata da due enormi navi la cui presenza nel lago di Nemi è legata all’eccentrico Caligola che permettevano un insieme unitario di natura residenziale e cerimoniale.
Si tratta di due imbarcazioni romane dalle monumentali dimensioni che per secoli interi sostarono sul fondale del lago sino al 1928.
Il recupero delle navi di Nemi fu voluto direttamente da Mussolini
Fu annunciato il 9 aprile 1927 in un discorso pronunciato alla Regia Società Romana di Storia Patria: “Un’altra grande impresa archeologica mi piace oggi annunziarvi come oramai decisa: il recupero delle due grandi navi romane sommerse nel lucido specchio nemorense”. L’operazione venne condotta con grande rigore tecnico e fornì un’occasione per la conoscenza della tecnica navale romana e costituì una delle più straordinarie imprese archeologiche del Ventesimo secolo: venne abbassato il livello delle acque sfruttando una condotta utilizzata anticamente per controllare e regolare il flusso.
Successivamente fu costruito il Museo delle Navi romane, progettato appositamente dall’architetto Vittorio Morpurg inaugurato il 21 aprile 1940: purtroppo nel 1944, poco prima della conclusione della seconda guerra mondiale, un incendio devastante distrusse completamente le navi, lasciando ai posteri solo parte delle decorazioni (tra cui le splendide protomi ferine e la testa di Medusa, ora al Palazzo Massimo a Roma) e delle attrezzature di bordo.
L’aspetto che qui ci interessa esaminare, anche se brevemente, è la funzione delle navi, residenziale per la prima, cerimoniale per la seconda: risulta assodato che le due navi nemorensi fatte costruire da Caligola fossero palazzi galleggianti, ispirati a quelli di età ellenistica.
La descrizione e la testimonianza completa dell’uso di navi in età antica più completa che ci è pervenuta è quella di Ateneo nell’opera Deipnosophistes, in cui cita la Syrakosia di Gerone II di Siracusa e la thalamegòs di Tolomeo IV Filopatore, che tradotta letteralmente significa appunto “nave con talamo” o, in termini moderni, “cabinato”. Si tratta in quei casi di navi marine (la prima) e di imbarcazioni fluviali (la seconda), riccamente adornate con pavimenti a mosaici, sacelli, giardini pensili, vere e proprie “navi da crociera”, di tradizione egizia, il cui uso giunse fino ai principi ellenistici, attraverso la mediazione macedone di Alessandro Magno.
Simili imbarcazioni sono spesso rappresentate in mosaici di ambientazione nilotica, tra cui esempi significativi sono quello del mosaico dell’Antro delle Sorti o Iseo a Palestrina e altri di Pompei e di Villa Adriana.
Secondo Giuseppina Ghini, una recente ricostruzione ha dimostrato che a Nemi, la prima nave aveva la funzione di residenza da diporto, una vera e propria dependance della villa imperiale situata sulla terraferma, secondo un uso invalso a Roma anche con altri imperatori, come Nerone, che usava lo Stagnum Agrippae nel Campo Marzio per dare festini notturni e Domiziano sul lago albano.
La seconda nave aveva invece deteneva una funzione cerimoniale, come prova il rinvenimento a bordo di oggetti sacri al culto di Iside, tra cui un sistro, che era venerata nel Santuario di Diana.
Tutto questo per sottolineare come sia importante non dimenticare la ricchezza culturale di un simile sito, testimonianza storica ed archeologica del nostro passato.
Vanessa Bori