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Non è tutto Putin quello che luccica: analisi sul consenso e sulla debolezza europea

by La Redazione
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Putin consenso

Roma, 30 mar – Al di là di come la si pensi su Vladimir Putin, la sua plebiscitaria riconferma dovrebbe essere occasione di numerosi spunti di riflessione che sarebbe un vero peccato non cogliere. Primo su tutti la libertà di stampa dell’intero Occidente, o meglio, il grado di asservimento da cui la stampa nostrana è affetta: lo ricordiamo che l’Italia, la democraticissima Italia si attesta al 41° posto secondo Reporter senza Frontiere? Nel 2002 eravamo precipitati addirittura al 58esimo posto: Covid batte guerra in Ucraina 1-0.

Putin, la Russia reale e la stampa italiana

Opinione pubblica da in-formare persino sulla “sorpresa” della (auto)vittoria nella corsa per il Cremlino con avversari imprigionati, esiliati, morti. Anche da solo, anche con le urne trasparenti in cui inserire la scheda (aperta) una volta votata – come nel caso del referendum sull’Ucraina ad “operazione speciale” iniziata – l’ex membro del Kgb ha ottenuto un consenso elettorale altissimo, con pochissimi precedenti in Patria a cui, forse, nel mondo solo il cancelliere tedesco Angela Merkel può avvicinarsi. È innegabile che la Federazione russa dell’era Putin abbia registrato un miglioramento delle precedenti condizioni di vita, ma va ricordato che il Paese aveva appena vissuto il crollo dell’URSS, quindi, il fondo era stato già toccato. Questo è un dato che ha lo stesso valore di quando in Italia ci si fa belli con la disoccupazione che scende o con lo stipendio che aumenta a cui, però, non corrisponde in effettivo potenziamento del potere d’acquisto. Fuffa, insomma. Il Pil dell’intera Russia è pari a quello di un Paese medio, inferiore non solo a quello dell’Europa, ma addirittura a quello di singoli stati come la Germania o la Francia, ad esempio.

Le ragioni del consenso

Dunque, se è vero come è vero che la situazione non è poi così florida, da dove deriva quest’altissima percentuale di gradimento? In un momento di guerra, per giunta! Proprio dalla guerra. È evidente che i russi approvino la guerra all’Ucraina che Putin ha iniziato. A torto o a ragione. Vecchie reminiscenze ereditate di quell’identità espansionistica tanto cara agli zar? Che vadano a quel paese tutte le cartine che recitano l’espansione Nato ad Est, proprio la stessa Nato di cui proprio lo stesso Putin avrebbe voluto fare parte e alle cui esercitazioni ha partecipato da “membro esterno”, se la Russia di Putin non ha velleità espansionistiche, Putin ha saputo ben interpretare il volere del suo popolo. Chissà se lo stesso popolo è a conoscenza dei frequenti viaggi compiuti dall’ex segretario di stato americano Henry Kissinger tra Washington e Mosca, anche ad operazione speciale in pieno svolgimento. Lo stesso Kissinger che ha (ri)armato – con armi ucraine – la Russia dopo il crollo dell’Urss. Che, questa guerra, non sia stata l’occasione giusta, il favore ricambiato per riportare in vita un vecchio catorcio come la Nato che senza un “nemico” non aveva più ragione di esistere?

Con buona pace dei due nemici in guerra che, a quasi tre anni dal conflitto, non si sono scambiati uno sputo direttamente. D’altronde, così come riportano il Corriere della Sera e non solo, pare che la Russia attacchi postazioni ucraine dopo che gli Usa abbiano fornito l’esatta posizione degli obiettivi a seguito di sofisticati studi di droni satellitari. D’altronde nello spazio Usa e Russia ci vanno insieme, perché non stare insieme pure con i piedi per terra, magari con i piedi ancora sotto lo stesso tavolo, ancora a Yalta? E se questo, dop che Mosca viene anche rifornita di armi occidentali, è un vero affare, perché mai non può esserlo la vendita di uranio russo agli Usa, quando gli Usa stanno commerciando gas con l’Europa al posto di Mosca? Perché l’obiettivo, non solo commerciale, è l’Europa, dove ci si interroga, soprattutto in Italia, sulla possibilità di una terza guerra mondiale, mentre una escalation nucleare paralizza le meningi. Non di Macron, per fortuna, che – sarà pure odiato all’ombra della Torre Eiffel, ma in quanto a politica estera non è certo Gigino Di Maio – ha rimesso le cose al loro posto, snocciolando, dati alla mano, la vera valenza di Mosca e tranquillizzando sul pericolo della minaccia nucleare.

Forza di Mosca o debolezza dell’Europa?

Se così stanno davvero le cose, allora perché la Russia è così potente tanto da essere calamita per tanti italiani? Semplice: non è la Russia ad essere forte, ma l’Europa ad essere debole. Se Usa e Russia ci stanno facendo la guerra – in Ucraina, ma la stanno facendo a noi Europa -, se ancora fatichiamo a sentire nostro questo attacco armato è perché l’Europa è divisa e manca di una identità propria. Questo porta persino al pericolo del vaneggiamento di sentirsi “liberi” illudendosi di scegliere il nostro nuovo padrone: non più Washington, ma sì a Mosca; mai Roma, ma perché no la terza Roma. Cioè loro che vogliono essere noi, ma noi rinunciamo ad essere noi stessi per essere loro.

Finché non avremo una coscienza unitaria e non saremo in grado di riconoscere che siamo LA Civiltà per antonomasia, la nostra debolezza sarà il loro punto di forza. E non rendercene conto sarà persino peggio. “Liberi non sarem se non siamo uni” scriveva Manzoni, il Canto degli italiani recita “Noi fummo da secoli calpesti, derisi perché non siam popolo, perché siam divisi”: è questa la “ricetta” dell’altrui forza, questa la soluzione affinché noi ritorniamo potenza. Questa è una lettura degli eventi “interessata” per ciò che a noi interessa, deve interessare: non ci interessa capire se davvero la Russia stia combattendo con una mano dietro la schiena o cosa e a chi giovi prendere – leggi perdere – tempo per una vittoria finale, ma non si può non apprezzare chi non è rimasto sordo, persino ad una battaglia impari, al richiamo del suolo natio, a come stanno dividendosi le nostre vesti, alla sorte che stanno gettando sul nostro vestito. Prendiamoli ad esempio russi ed ucraini. Meglio se scomodi. Analizziamo per capire, loro, ma soprattutto noi stessi. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.

Tony Fabrizio

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