Roma, 9 lug – La Francia, per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è ora ingovernabile. D’altronde il caos è evidente: tre blocchi parlamentari, nessuno con la maggioranza assoluta, nessuno capace di governare da solo. Questo nonostante l’operazione geniale di Emmanuel Macron per emarginare Marine Le Pen, ovvero convocare delle elezioni legislative ben consapevole che la sinistra avrebbe fatto di tutto per ostacolare il leader del Rassemblement National. In questo modo, il presidente è riuscito a “blindare” alla meno peggio la sua posizione, in un momento storico in cui il suo consenso personale è ai minimi storici.
“Francia ingovernabile”: la Meloni senza diplomazia sulle elezioni francesi
“La formazione del governo in Francia non sarà facile. Eravamo abituati a un tempo in cui l’Italia era una nazione instabile in un’Europa che aveva, soprattutto tra le grandi nazioni, governi molto solidi. Oggi invece vediamo una realtà molto diversa, con l’Italia che ha un governo molto solido in un’Europa dove ci sono governi meno stabili del nostro. E penso che questo debba renderci molto orgogliosi”. Queste le parole del premier italiano sulla situazione politica transalpina, proferite dal vertice per i 75 anni dell’Alleanza Atlantica. Un affondo piuttosto diretto. Al quale sarebbe insensato non dare parzialmente ragione. Ma c’è il solito problema….di cui ovviamente il presidente del Consiglio è pienamente consapevole, visto il suo approccio comunque riformista del sistema istituzionale italiano.
Il caos francese non è strutturale, quello italiano sì
Il casino della politica francese in questo momento storico (in particolare negli ultimi otto anni) non deve ingannare. È vero, come dice Meloni, che attualmente il governo italiano è abbastanza stabile rispetto al passato, ma andrebbe ricordato anzitutto un dato storico: in un modo o nell’altro, il centrodestra è sempre riuscito a garantirlo. Ciò non toglie che la complicata architettura nata ufficialmente nel 1948 di stabile abbia molto poco, con due Camere che fanno le stesse cose, con la possibilità di sfiduciare il governo costantemente, con un premier che per legge non può neanche licenziare i ministri e in generale con un parlamentarismo falsamente onnipotente (più capace di bloccare leggi che di promuoverne, a meno che non provengano dalle agende statunitensi, brussellesi o in generale occidentali). Se poi si trova la quadra con una coalizione, chiaramente, si riesce miracolosamente a eludere tutto ciò. Il sistema, in ogni caso, non ostacola ma anzi favorisce qualsiasi gruppo di governo a sfaldarsi con la pressione anche di un semplice alleato, rivelandosi sempre precario.
In Francia, il presidente resta in carica praticamente a prescindere dalle bagarre parlamentari, come il nostro, con la differenza che dispone di più poteri e quindi di maggiori possibilità di indirizzare la politica del Paese (estera come interna). Essendo una struttura semipresidenziale, di fatto è anche il capo del governo. Per intenderci, Macron dispone di una buona parte dei “poteri” di cui gode Giorgia Meloni. Come tutti i suoi predecessori dal 1958 (anno di nascita della V Repubblica). Difficile non ritenere l’epoca attuale del tutto “fortuita”. Il centrodestra ha promosso una riforma che ci auguriamo superi gli ostacoli, quella del premierato: si tratta però di un cambiamento essenzialmente elettorale con qualche “sfumatura” culturale (sebbene i poteri del premier non aumentino, è indubbio che con l’elezione diretta la sua legittimazione sarà maggiore) che potrebbe aiutare indubbiamente a sviluppare un minimo di stabilità strutturale e non solo “di scopo”. Ma è sempre troppo poco rispetto a ciò che servirebbe.