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Da Orlando a De Magistris: quando i sindaci incapaci diventano cabarettisti

by Lorenzo Zuppini
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Roma, 4 gen – La tradizione d’accoglienza di cui si vanta Orlando, il barricadiero sindaco di Palermo, è assai simile a quella sbandierata dall’altro portento Lucano: l’invasionismo a tutti i costi, l’accoglienza purchessia, la formazione di una brodaglia culturale che porti, parole del sindaco di Riace, alla cancellazione della categoria degli autoctoni. Altro che solidarietà e buoni sentimenti: il piano folle dei sindaci all’opposizione di Salvini prevedete lo svuotamento di un continente per riempirne un altro. E pazziano, con l’indignazione appesa al petto come una medaglia, sragionando di inciviltà e di razzismo ai danni degli immigrati generosamente accolti da un paese che, fino a qualche mese fa, aveva tecnicamente eliminato i propri confini e ridotto la propria sovranità per far spazio alle Ong che traghettavano clandestini sulle proprie coste.

La situazione, allora, era talmente paradossale, oltreché oltraggiosa per gli italiani, che è stato ampiamente provato l’accordo scellerato intercorso tra i governi Letta e Renzi con l’Europa affinché, in cambio di flessibilità, lo Stato italiano accogliesse chiunque sbarcasse dalla Libia. Non è un caso che, coi dieci miliardi spesi da Renzi per gli ottanta euro e coi suoi toni feroci contro l’Ue, nessuno dai piani alti di Bruxelles abbia proferito parola. Oggi, sebbene la manovra economica faccia ridere, gli stessi burocrati hanno bersagliato l’Italia con un fuoco incrociato degno d’una guerra.

All’appello ve ne sono molti altri come ben sappiamo. De Magistris, da Napoli, ha ritenuto opportuno investire tempo ed energie per garantire il proprio appoggio al collega palermitano. Buffo che i primi cittadini di due tra le città più disastrate d’Italia (Napoli, pensate un po’, è nella lista nera delle città peggiori al mondo) si gettino a scavezzacollo in una guerra personale col ministro dell’Interno mentre i propri cittadini li ricoprono di fischi affondando nel degrado urbano. Orlando, già noto per certe sue performance da cabaret di quart’ordine, in agosto partecipò alla festa islamica del sacrificio assieme i barbuti di Palermo. Definì la comunità di maomettani come parte integrante e imprescindibile della società. Eppoi i soliti discorsi su quanto la convivenza con costoro sia una manna dal cielo e quanto si sbagli noi italiani ad avere qualche riserva nei loro confronti. Attendiamo ancora da questi cabarettisti le prove sui benefici derivanti da questa convivenza forzata. Da Firenze fa capolino il renzianissimo Nardella. Avvezzo a partorire idee geniali per risolvere i problemi dell’umanità, da presidente del Maggio musicale propose di cambiare finale a La Carmen invertendo i ruoli: lei uccideva lui e non il contrario, così da dare un forte segnale sull’annosa questione della violenza sulle donne. Comprendete lo spessore di questo Aristotele del ventunesimo secolo? Ecco, pur essendo trascorso un anno dalla grottesca vicenda sopracitata, la capacità di commento del Nardella non è diminuita affatto. Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, altra città nota per il suo splendore e la sua efficienza, si è unito al coro. Poi la Kyenge, che pur non essendo sindaca di niente ha avvertito il bisogno di spronare i sindaci d’Italia alla resistenza e alla disobbedienza civile. E lei ha il coraggio di parlare di razzismo italiano. Proprio lei che ha recentemente fondato il movimento politico “Afroitalian power”, invenzione, questa, talmente grottesca che arduo è il compito di commentarla. Tornassero a casa loro, punto e basta, dove, da autoctoni, potrebbero invocare liberamente tutto il potere di questo mondo. La galassia antagonista che accomuna tutti questi perdigiorno è talmente insensibile agli schiaffoni elettorali che, sberla dopo sberla, proseguono imperterriti con la loro puzza sotto al naso e le loro battaglie indecenti. Perché indecente è l’idea che chiunque possa arrivare in Italia, approdandovi come meglio crede, pretendendo e ottenendo diritti a pieni mani senza però ottemperare ad alcun dovere. E l’idea malsana proposta da costoro, e ribadita nel Global Compact, di parificare tutte le tipologie di immigrati è funzionale al progetto che ormai neanche si sforzano più di celare: cancellarci e riscrivere la storia di questa Nazione.

Sotto un profilo giuridico, brevemente, loro sono da bocciare con annesso calcione nel sedere: non è sancito in nessun atto giuridico l’obbligo per un paese di accogliere tutti gli immigrati del mondo. V’è, come sappiamo, il dovere di far entrare chi fugge da guerre e persecuzione ma col sol fine della protezione fin quando non è cessato il pericolo. Cianciare di diritti da erogare, minacciando chissà quali conseguenze nefaste nel caso vengano negati, è roba da studentello scemo che al posto di seguire le lezioni occupa le aule e si siede al posto del professore. Razza, questa, di cui abbiamo abbondantemente piene le palle, essendo le nostre università già infestate da tal genere di zecche.

Sì, lo scontro è nuovamente tra chi preferisce soffiare sulle ceneri e chi ambisce a preservare il fuoco. Tra chi ritiene le proprie origini un passato sbiadito e chi caccia ancora le sacre ombre sulle colline eterne. Guerra è sempre, come scrisse Mordo Nahum, soprattutto con chi ce l’ha dichiarata da tempo.

Lorenzo Zuppini

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