Roma, 7 feb – Il 7 febbraio 1945, nelle malghe in località Porzus, nell’udinese, si consumò il più grande eccidio tra bande partigiane della seconda guerra mondiale.
La zona della “Slavia Veneta”, la regione oggi compresa tra Cividale del Friuli e Caporetto, era stato un territorio conquistato dal Regno d’Italia e annesso già nel 1866 una volta unificatosi con il Veneto. Da lì, nel 1941, le truppe italiane e la Wehrmacht partirono per invadere ed occupare la Jugoslavia. Nel 1943 questa zona venne occupata militarmente dai tedeschi che crearono la Ozak, regione del Reich corrispondente al Trentino e al Friuli – Venezia Giulia.
Nell’ottobre del ’44 Tito e i suoi partigiani appoggiati dalle “vittoriose truppe dell’esercito Sovietico” iniziarono a compiere diversi raid nella Venezia Giulia, avanzando e occupando militarmente le zone di Trieste e limitrofi, imponendovi un regime socialista alquanto repressivo. Il Pci e le Brigate Garibaldi, di stanza nella zona, salutarono gli invasori come dei “liberatori” appoggiandoli pienamente in questa loro invasione del territorio italiano stringendo accordi con il partito comunista Jugoslavo.
In quei territori erano però di stanza anche altri gruppi come la Osoppo, brigata social-cristiana che non era affatto favorevole a questa invasione proveniente da est. Secondo fonti non del tutto accertate, i brigatisti cattolici arrivarono ad un compromesso con un reparto della X° MAS, quasi come per tregua, e con altri reparti di alpini lì presenti per contrastare gli slavi. Questo, però, non bastò e le malghe attorno a Porzus dove si nascondevano e si difendevano gli osovani vennero attaccate da un centinaio di brigatisti comunisti che, in quanto “ostacolavano l’invasione comunista di Tito”, li etichettarono come traditori e li trucidarono.
I comunisti, anche in tempi recenti, negarono il fatto o, anzi, affermarono che si trattò di un’azione necessaria per liberare l’Italia e, di conseguenza, bisognava eliminare ogni resistenza anche tra compagni.
La brutalità di quest’atto mostra come le forze politiche antifasciste fossero profondamente in collisione tra loro da già ben prima del ’48 e che preferirono porre prima di tutto la loro ideologia, apparentemente, di pace alla difesa del loro Paese. Il biennio tra il ’43 e il ’45 è stata presentato come una commistione di una guerra civile, una guerra di liberazione e una guerra di rivoluzione ma, di certo, uno scontro tra fratelli, consanguinei e connazionali che preferirono uccidersi piuttosto che collaborare e che preferirono consegnare la Nazione agli invasori.
Quegli stessi territori che videro gli italiani combattere per unire la Patria nel ’18 diventeranno gli scenari orrendi della violenza verso gli italiani, della pulizia etnica delle foibe e del più totale silenzio, politico e mediatico, su una strage.
Tommaso Lunardi
 

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4 Commenti

  1. I presunti vincitori , oltre a riscrivere la storia a modo loro per rimbambire le generazioni successive , si macchiarono di crimini orrendi operando vigliaccamente come brigatisti comunisti e provocando la morte di milioni di uomini e donne, poiché non basta ricordare le foibe ed altri eccidi simili di matrice partigiana……… Quasi due milioni di tedeschi furono uccisi nel dopoguerra ed ovviamente non erano militari ,ma in maggioranza donne e civili inermi,con disgustosi episodi di brutale violenza……..questi sono i reflussi comunisti che ancora oggi preoccupano ,gli ideali che hanno portato paesi interi alla distruzione totale.

  2. Anche se il Sud è stato lontano da quelle scorrerie brigatistiche, perché in Calabria non si può parlare di resistenza, ha potuto registrare casi di persone partite per la guerra da fascisti e tornati comunisti dal fronte, dopo aver perpetrato violenze contro gli stessi italiani in nome della nuova ideologia.

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