La direttiva in questione è la BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive, che introduce per la prima volta il concetto di “bail-in”, vale a dire il coinvolgimento dei privati nelle difficoltà dell’istituto bancario. La particella “in” sostituisce così la particella “out” del più famoso “bail-out”, con il quale era un soggetto esterno (“out”, appunto) come lo Stato a farsi carico del piano di salvataggio.
Bene, ma chi sono questi privati coinvolti nel salvataggio dell’istituto bancario? Come tutti i creditori (definizione da intendersi in senso lato), in caso di procedure concorsuali o simil-concorsuali sono inquadrati in una graduatoria gerarchica. Troviamo quindi in primo luogo gli azionisti, che dovranno sopportare un peso maggiore in quanto soci. In secondo luogo troviamo gli obbligazionisti, poi i creditori titolari di credito non garantito ed in ultimo i depositanti, ma solo per la quota di deposito superiore ai 100mila euro.
Su tutti i soggetti sopracitati la banca potrà quindi appoggiarsi al fine di puntellare le proprie finanze. Se soci, obbligazionisti e titolari di crediti non garantiti hanno da sempre sopportato -pur con diversi gradi di tutela- il rischio di impresa, sorprende che ad essi siano affiancati anche i correntisti. Prova a spiegare il capogruppo commissione finanze alla Camera, il Pd Marco Causi: “Fino ad ora la garanzia pubblica sui conti correnti e i conti è di 100mila euro, con la nuova normativa da questo punto di vista non cambierà nulla: rimarrà 100mila euro”. I numeri sono giusti, ma l’esponente dem dimentica un passaggio logico fondamentale: al di là dei dettagli di inquadramento giuridico, i correntisti non depositano le proprie somme a titolo di investimento bensì a titolo di custodia. Altrimenti, sarebbe come far pagare ai lavoratori -ad esempio utilizzando il loro tfr- una crisi industriale, considerando somme che gli spettano come somme investite nell’azienda e dunque esposte al rischio d’impresa.
Il “bail-in”, da parte sua, non è un’eventualità remota. Nella crisi di Cipro del 2013, i conti correnti al di sopra dei 100mila euro furono oggetto di una tassazione secca, che ad esempio nel caso di Bank of Cyprus arrivò al 37.5% dell’importo oltre la soglia. In tal caso, le sofferenze bancarie furono dovute ad un sistema “too big to fail”, viste le dimensioni raggiunte rispetto a quelle dell’economia nazionale. Così, per risolvere i guai creati da dirigenze poco avvedute furono chiamati (anche) i correntisti. E’ la pure e semplice legalizzazione di quei “pasti gratis” che la liberalizzazione dell’economia si vantava di aver eliminato in nome dell’efficienza allocativa. Insomma: banchettate pure, qualcuno che pagherà al posto vostro ci sarà sempre.
Filippo Burla
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