A scatenare la polemica sono le dichiarazioni rilasciate da Fitch (la cui posizione in merito al presunto ruolo – doloso – nella crisi dello spread del 2011 è ancora al vaglio degli inquirenti del tribunale di Trani, che non ha concesso l’archiviazione del procedimento) relative al prossimo venturo referendum sulla riforma costituzionale. Secondo l’agenzia di rating, “Turbolenze politiche o economiche potrebbero portare a uno shock negativo per il merito di credito italiano”. A spiegarlo durante una conferenza a Londra, rivela Bloomberg, è Edward Parker, responsabile di Fitch per il debito sovrano delle aree Europa e Medio Oriente. Oltre alla crisi in essere del settore bancario, è il ragionamento, un eventuale voto contrario (cioè il ‘No’) a quello auspicato dall’esecutivo potrebbe scatenare un’instabilità politica tale da costringere Fitch a rivedere al ribasso il rating dell’Italia.
L’agenzia di rating, si ricorderà, è la stessa che alla vigilia del pauroso crac di Lehman Brothers assegnava – come le altre, del resto – il massimo grado di solidità (la celebre tripla A) alla banca d’affari. E Fitch è sempre la stessa finita nel mirino degli inquirenti della procura di Trani che le contestano il reato di aggiotaggio durante la crisi dello spread che nel 2011 portò all’anormale speculazione contro l’Italia, costringendo Berlusconi alle dimissioni per lasciar spazio al tecnico Mario Monti. Nonostante l’archiviazione da parte del tribunale di Milano, quello pugliese continua ad indagare sul suo conto. E non è detto che quest’ultima sortita non possa finire anch’essa agli atti.
Filippo Burla
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