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I robo-advisor e la gestione patrimoniale: una nuova dimensione della finanza

by La Redazione
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I roboadvisor, una nuova dimensione della finanzaRoma, 20 gen – Nel mondo dei fondi di investimento c’è un eterno dibattito tra la gestione attiva, cioè una gestione nella quale un manager sceglie i mercati e i titoli dove investire sulla base di un’analisi approfondita e la gestione passiva, che si limita a replicare l’andamento di indici. Sulla carta, il primo tipo di gestione dovrebbe essere meglio perché attraverso l’analisi si possono ottenere indici di redditività più alti. Nella realtà però accade il contrario: quasi nessun fondo gestito attivamente è in grado di battere il suo “punto di riferimento” (benchmark) a lungo termine, spesso è meglio investire in prodotti passivi. La ragione principale è il costo.

Con i fondi attivi si è costretti a pagare commissioni molto più elevate rispetto ai fondi passivi, queste commissioni coprono soprattutto l’analisi e la gestione. Allo stesso tempo però, queste commissioni minano la redditività e portano a risultati molto modesti. Un esempio: un gestore attivo deve avere una performance migliore ogni anno rispetto a quella dell’indice e inoltre deve essere una performance solida perché deve andare a coprire le commissioni che richiede. Quasi nessuno dei gestori attivi riesce ad avere risultati soddisfacenti per più di uno o due anni. La commissione media che addebitano i fondi attivi in Europa è del 1,5% (che può superare il 3% se si aggiungono i costi occulti), rispetto ad una commissione media dello 0,6% dei fondi passivi.

Anche il mitico Warren Buffet, esponente di punta del mondo dei fondi e degli investimenti (sempre alla ricerca di aziende solide e redditizie che sono sottovalutate nel mercato azionario) ha raccomandato i fondi indice o fondi passivi che vendono società come Vanguard per evitare le spese elevate e i rendimenti deludenti dei fondi attivi.

Come se non bastasse l’apparente superiorità della gestione passiva rispetto a quella attiva, si è aggiunta una nuova dimensione con l’arrivo delle innovazioni tecnologiche che sposano la finanza e vanno sotto il nome di Fintech. Alcune iniziative interessano quasi tutte le attività bancario, ma è nel settore degli investimenti e della gestione patrimoniale che raggiungono un livello ancora più alto grazie all’introduzione dei robo-advisor, tutti quegli strumenti che permettono di costruire portafogli automatici a seconda del profilo di rischio di ogni investitore sulla base dei fondi di gestione passivi. Il grande vantaggio è il costo: oltre alle commissioni basse dei fondi passivi, l’utilizzo della tecnologia permette di far pagare ai clienti molto poco rispetto alla banca tradizionale o alla gestione attiva di fondi fatta da società con manager da mantenere.  A differenza di un investimento in fondi comuni, con le gestioni patrimoniali consentono di compensare minusvalenze e plusvalenze dei fondi in portafoglio con un notevole vantaggio dal punto di vista fiscale e della performance finale.

I costi più bassi e l’incapacità della maggior parte dei fondi attivi di battere l’indice non garantisce che il cliente riuscirà a farà soldi con i fondi passivi. Se l’indice di riferimento della borsa italiana che ha chiuso il 2016 con una perdita -10,2%, dovesse replicare questa triste performance anche nel 2017, l’investitore che acquista un fondo che replica un indice, perderà l’investimento e la commissione anche se ridotta rispetto ad una applicata da un fondo attivo. I robo-advisor promettono di risolvere il problema della ‘asset allocation’, vale a dire, quale percentuale del vostro patrimonio decidete di mettere in borsa, titoli di stato, obbligazioni societarie, investimenti alternativi, real estate, etc e all’interno di ciascuna attività, come distribuire il vostro investimento per area geografica. Affidatevi ad un robo-advisor, nel peggiore dei casi, replicherà il risultato di un manager di un fondo attivo.

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