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Il sessantotto e la destra radicale. Un altro ribellismo rivoluzionario tra luci e ombre

by La Redazione
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Roma, 22 dic – Cinquant’anni fa, il Sessantotto. Con tutte le sue sfumature di rosso comunista. Ma nel vorticoso turbinio della contestazione al sistema si mescolarono anche gli umori ribellistici di non pochi neofascisti. Avevano cominciato la loro militanza nel MSI, poi, dopo aver fatto a cazzotti da un congresso all’altro, da un foglio di lotta all’altro, avevano rotto con un partito che era nato come erede dei valori rivoluzionari di Salò, ma nel corso degli anni si era trasformato in una forza di destra, moderata, conservatrice, clericale, atlantista, fiera di sventolare il vessillo dell’anticomunismo e della difesa dell’Occidente in salsa yankee. Ai militanti della destra radicale non poteva bastare il nostalgismo retorico di cui i dirigenti missini continuavano a riempirsi la bocca e così nel corso degli anni il loro movimentismo era sbocciato in una fioritura di sigle extraparlamentari- Sinistra Nazionale, Ordine Nuovo, Giovane Europa, Avanguardia Nazionale ecc.- impegnate a dar battaglia al sistema, all’insegna di Italia, Europa e Rivoluzione.
E, si badi bene, il grido di lotta contro il MSI ben pensante, clerico-fascista, forcaiolo e disposto a ogni sorta di compromesso con DC e venticinqueluglisti per avere uno straccio di legittimazione democratica; il fiammeggiante grido anti-sistema, che tanto impressionava i bigotti dei vari schieramenti, non veniva lanciato soltanto dai “socializzatori” ma anche dai “figli del sole”. E cioè dagli alfieri della Tradizione atemporale, aristocratica, spiritualista, così come Julius Evola la evocava in “Rivolta contro il mondo moderno” e ne prospettava l’attualità politica in “Gli uomini e le rovine” e “Cavalcare la tigre”. Neri, nerissimi, paradossalmente di color rosso acceso nel loro dichiarato anticapitalismo, nemici dell’imperialismo Usa come di quello Urss, sostenitori delle ragioni dei popoli in lotta, dal Vietnam all’America Latina alla Palestina, affascinati dal nazionalcomunismo di Mao e dal sovversivismo feroce ma romantico di Che Guevara, i giovani della destra radicale videro nel Sessantotto una grande occasione rivoluzionaria: la ribellione contro il ”mondo” partorito dal dopoguerra, una forma di incazzato riscatto dei “vinti”, l’immagine di una unità generazionale “forte”, capace di coniugare idee ed eresie, mobilitandole contro l’ordine (o il disordine) costituito.
villanoUn altro “fascismo” o quasi? Un appello velleitario a superare tutti i vecchi schemi ideologici in nome di nuove sintesi? Un ardimentoso avanguardismo giovanilistico destinato a scontrarsi con la realtà? Un frenetico scatenarsi di impolitiche velleità? Il desiderio, umano troppo umano, di farsi “accettare” dai “compagni” e di non essere etichettati come “guardie bianche” della baronie universitarie e del trasformismo Dc-Pci? Tutto questo ed altro ancora? Tutti gli interrogativi- enfasi compresa- sono legittimi. C’è da raccontare e da capire. E il recente saggio di Alfredo Villano (“Da Evola a Mao. La destra radicale dal neofascismo al nazimaoismo”, Luni, pp. 375, euro 25) spalanca una finestra su quel passato che non passa, proponendo stimolanti riflessioni. La ricognizione puntuale e dettagliata, e la ricchezza del materiale d’archivio, dei documenti, delle testimonianze raccolte dai protagonisti dell’epoca, consente di inoltrarci nel frastagliato paesaggio del Sessantotto “nero”. Ed è proprio quel “nero” ad esser proposto come elemento di dibattito. Insomma, i fascisti che “fecero” il Sessantotto, a partire dagli scontri con la polizia a Valle Giulia, erano ancora “fascisti” o erano qualcosa di diverso? Un movimento studentesco come quello del Fuan-Caravella che occupava la Facoltà di Giurisprudenza a Roma e che si scontrò con le squadre dei missini d.o.c. venuti- Almirante in testa- a “liberare” l’Università dagli “stracci rossi”; quel movimento studentesco fascista, che “occupava” insieme ai “cinesi” e doveva difendersi dall’assalto dei “camerati” missini, “che cos’era”? Cosa avevano in testa i “nazionalpopolari” dell’”Orologio”- una rivista che divenne un vero e proprio laboratorio politico e culturale per gli “eretici” del neofascismo- quando distribuivano i volantini contro la NATO, il Trattato di non proliferazione nucleare, la corresponsabilità nella castrazione politica dell’Europa di stelle e strisce americane, falci e martelli Urss, compassi massonici, con annessi e connessi Dc, Vaticano, padroni del vapore capitalisti e Pci venduto agli interessi di Mosca? E un movimento come Lotta di Popolo non era un vero e proprio, fascinoso e inquietante, ircocervo? A questa singolare creatura politica Villano dedica molta attenzione. Perché anche qui c’è un pezzo di storia da rivisitare.
C’è, prima di tutto, un tipo tosto come Randolfo Pacciardi, combattente della guerra di Spagna dalla parte dei “rossi”, ex- ministro della Difesa e atlantista sfegatato, che, nei primi anni Sessanta, crea un movimento antipartitocratico, sostenitore della repubblica presidenziale e soprattutto dichiaratamente estraneo alla contrapposizione fascismo-antifascismo: l’Unione Democratica per la Nuova Repubblica. Aderiscono ex partigiani ed ex repubblichini come il giornalista e scrittore Giano Accame, fascista mai pentito. E l’UDNR marcia spedita creando qualche preoccupazione nel “sistema”, finché esplode il Sessantotto e i giovani militanti universitari del movimento giovanile pacciardiano- Primula Goliardica- ci si tuffano dentro con grande passione. Sono fascisti? Bè, vengono quasi tutti dalle file del Msi e da quelle della destra radicale. E vogliono la rivoluzione, non un “sistema” riveduto e corretto. Il povero Pacciardi non ci capisce più nulla, prova ad argomentare, a prendere le distanze, a sconfessare.
Così le “primule” rosso-brune creano “Lotta di Popolo”, definendosi antiborghesi, anti-imperialisti, terzaforzisti, nemici assoluti dell’Urss, degli Usa, di Israele, alfieri dei movimenti di liberazione nazionale e di un’Europa dove i “popoli”, affrancati dallo sfruttamento, diventano il perno della storia. Fascisti? Villano ha ragione: nell’”immaginario” fascista tutto questo ribellismo rivoluzionario e terzaforzista c’è sempre stato e ogni volta che ha potuto, ha rivendicato il suo buon diritto, i suoi interventi nel presente e il suo progetto di futuro. A cinquant’anni di distanza, parliamone. E più che mai, a nostro avviso, devono farlo CasaPound e i fascisti del terzo Millennio, forti di un immaginario culturale e di un impegno politico-sociale che ne fanno una realtà “stabilizzata” con cui fare i conti. Per spiegare quel che bolle in pentola oggi, cosa ci sia nel presente e cosa debba/dovrebbe esserci nel futuro, e per meglio mettere a fuoco il volto del Sessantotto “nero”- lontano? vicino?- e il ”senso” delle sue testimonianze militanti e delle sue “eredità d’affetti”.
Mario Bernardi Guardi

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