Roma, 13 giu –Il saluto romano per scopi commemorativi non è reato, anche se la stampa mainstream non lo vuole accettare. Dal tribunale di Ravenna arriva una “botta” anche per le associazioni antifasciste locali, le quali protestano vivacemente, visto che vengono assolti sia Mirco Santarelli, 61 anni, un referente regionale degli Arditi d’Italia, che Domenico Morosini, 83 anni, ovvero il gestore del museo di Villa Carpena che, vicino a Forlì, nella tenuta natale di Rachele Guidi, raccoglie i cimeli di Benito Mussolini e rappresenta un pezzo importantissimo di storia italiana.
Saluto romano, il caso di Forlì da gennaio all’assoluzione
Da gennaio, dopo la nuova sentenza della Cassazione (che su questo tema si è pronunciata altre volte) una serie di rinvii per valutare come regolarsi sui due nel processo si sono susseguiti. Ieri finalmente la decisione del giudice Antonella Guidomei. Santarelli e Morosini non hanno violato la legge Mancino, che punisce azioni e discorsi aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione razziale, etnica e religiosa.
La reazione degli antifascisti locali
Non l’hanno presa benissimo, per usare un eufemismo. Andrea Maestri, avvocato della Consulta Provinciale Antifascista di Ravenna, commenta così: “Siamo al cospetto di una delle prime pronunce a seguito della nota sentenza delle Sezioni Unite Penali della Cassazione, depositata il 17 aprile scorso. Il reato contestato dalla Procura di Ravenna è l’art. 2 Legge Mancino, delitto di pericolo presunto che si realizza anche con il saluto romano e la chiamata del presente, che per la Cassazione sono oggettivamente riconducibili al rituale fascista (artt 3 e 9 regolamento del Partito nazionale fascista) e sono state poste in essere in un “significativo contesto fattuale complessivo” cioè durante la pubblica, reiterata, ostentata esaltazione non di una figura qualunque ma di Ettore Muti, squadrista e segretario del PNF. Chiare le finalità di esaltazione ideologica e di proselitismo. Attendiamo, entro 90 giorni, di leggere le motivazioni di una pronuncia che ci lascia interdetti e amareggiati”.