Roma, 23 set – Se è vero che il centro innova e la periferia conserva, il Giappone rappresenta da questo punto di vista un esempio estremamente significativo, perché ci mostra come determinati valori possano continuare a sopravvivere nel tempo anche quando i loro originali detentori non esistono più.
L’unicità del Giappone
Sopravvivenze che peraltro ci portano a considerare lontani legami oggi quasi del tutto dimenticati. Per inquadrare meglio la situazione sarà necessaria una digressione in tempi remoti: nel grande corridoio eurasiatico che va da oceano a oceano, i sommovimenti, i conflitti e gli scambi di ogni genere sono sempre stati una costante; mentre le aree periferiche hanno però goduto di una maggiore quiete, mantenendo nel tempo conoscenze e punti di vista scomparse invece da altre parti, quasi come nicchie ecologiche dove determinate forme di vita si riparano e proseguono il loro sviluppo indisturbate.
Tipico esempio è l’Irlanda, terra in cui lingua e cultura hanno unicità molto significative in grado di illustrare vari punti oscuri anche del nostro passato (un esempio su tutti, il patrimonio leggendario). Al capo opposto sta il Giappone, anch’esso area conservativa che ha saputo mantenere in vita la propria eredità culturale, in una maniera assai più profonda di quanto comunemente si pensi. La sua storia si lega alla nostra fin da tempi remotissimi e, pur essendo avvolta dalle nebbie del tempo, può comunque delinearsi almeno per sommi capi. In un periodo compreso tra il 3500 e il 2000 a.C., nel mezzo del mare dei popoli paleosiberiani mongolici che già occupavano gran parte dell’oriente eurasiatico, si muove un’ondata anomala di bianchi pre-indoeuropei, gli Ainu, che finiranno poi per stanziarsi nell’arcipelago giapponese.
Vi rimarranno incontrastati fino a quando le invasioni di popolazioni mongoliche non li sopraffaranno, obbligandoli a ripiegare verso aree più inospitali e a subire il dominio dei nuovi arrivati. La mescolanza tra questi popoli ha dato come risultato il popolo giapponese e la filosofia dei samurai, mentre l’isolamento e la chiusura nei confronti del mondo esterno hanno consentito di stabilizzare geneticamente popolazione e cultura nella loro unicità. I giapponesi presentano caratteristiche morfologiche mongoliche anche se miste risultano invece le tendenze comportamentali: se vengono esaltati il coraggio e l’onore, vi sono anche asprezze (come l’eccessiva violenza) che può assumere tratti eccessivi per la nostra sensibilità. Ma, a parte tutto, l’apporto della componente caucasica nel suo essere fondamentale, quanto misconosciuto, costituisce quel particolare dato che ha reso i giapponesi così diversi dagli altri popoli asiatici, contribuendo a creare quella consonanza con la cultura europea che permane ancora oggi.
Samurai d’inchiostro: quando l’etica guerriera si fa arte popolare
E qui troviamo il tema dei samurai e della sua fortuna in occidente. Come è ben noto i valori che costituiscono l’etica di questa classe guerriera sono estremamente simili a quelli della cavalleria: fedeltà al proprio signore e alla parola data, spirito di sacrificio, senso dell’onore, coraggio nell’affrontare tutte le sfide, morte compresa. Vi è un modello culturale che nobilita l’azione, un perfezionamento personale fisico, caratteriale e spirituale. L’atto è espressione totale dell’essere umano, riflesso di ciò che egli è e della maniera in cui è riuscito a costruirsi e disciplinarsi. La perfezione tecnica nel mestiere delle armi si unisce alla volontà di autoperfezionamento, ai gesti controllati, all’equilibrio. La dedizione al signore implica prima di tutto nobiltà d’animo, rispetto dell’ordine morale e sociale. Valori ideali che sono sopravvissuti a chi li aveva esperiti, diventando infine, sia pure mutati, il patrimonio di un’intera nazione. Anche oggi l’etica samurai si presenta quasi immutata nel Giappone attuale, essendo riuscita a sopravvivere nonostante tutti gli sconvolgimenti e le vicissitudini susseguitisi nel corso dei secoli. Come nota Carlomanno Adinolfi: «I clan si sono trasformati in grandi corporazioni (Zaibatsu); dai rōnin si è passati alla Yakuza, il sistema feudale è stato rimpiazzato dalle gerarchie aziendali, il rispetto per l’Imperatore è rimasto integro e lo si considera comunque un essere divino nonostante la “Dichiarazione di Umanità di Hirohito”».
La sopravvivenza è avvenuta anche a livello della cultura popolare, con tutte quelle produzioni dell’arte visiva che hanno avuto successo anche dalle nostre parti. E proprio di questo si occupa il volume Samurai d’inchiostro, insieme di scritti (a cura di C. Adinolfi e R. Rosati) che testimoniano quanto vivo sia ancora l’interesse per questa materia, una sopravvivenza che molto spesso prende i tratti della rinascita, di un rinnovamento delle forme che però lascia immutata la sostanza. L’arte popolare – aggettivo rivolto alla diffusione e al successo di tale prodotto – mantiene infatti vivi i temi eroici, talvolta li può riadattare e modificare ma senza mai snaturarli. Le storie che si diffondono al grande pubblico tramite il fumetto e il film d’animazione possono ormai riguardare tematiche diverse – dalla storia sportiva a quella fantascientifica – ma in tutte è sempre presente un comune spirito, uno spirito tenace che guida l’azione e orienta il pensiero, antico retaggio della “Via del guerriero”. Un’etica che, scesa dalle classi superiori, è stata conservata dall’anima popolare, comprensibile a tutti perché autentica, ispiratrice e punto di riferimento anche quando irraggiungibile. Trasposizioni di un passato remoto che si sono ritrovate in nuove combinazioni, che ci mostrano come l’archetipo si possa sempre tornare a manifestare (sempre che abbia un buon substrato su cui farlo) e che anche per il futuro ci possa essere speranza, perché elementi che crediamo dispersi in realtà sopravvivono ancora, nascosti o rimossi, sempre pronti però a riaffermarsi alla prima occasione utile, una volta che i tempi si saranno dimostrati più favorevoli.
Renzo Giorgetti