Roma, 5 giu – Rispetto alle ultime elezioni regionali, a molti commentatori, troppo impegnati a discettare della prevedibile cannibalizzazione del centrodestra da parte della Lega, sembra essere sfuggito il vero nocciolo della questione, preoccupante per il futuro del paese: il Movimento 5 Stelle ha sostanzialmente confermato il suo bacino elettorale che stimiamo approssimativamente in un 20% dell’elettorato.
È incomprensibile come non si capisca che questo vuol dire che un quinto degli elettori è oramai entrata in un pericolosissimo loop mentale fatto di fanatica devozione ad un leader buffonesco ed eterodiretto, nonché ad una narrazione dell’Italia e dei suoi problemi irrealistica e dettata più che altro da una serie di guru fuori dal mondo. Gente alla Podemos o Syriza per cui tutti i problemi sono da imputare alla corruzione, o che addirittura punta esplicitamente a fomentare una guerra civile fra le classi più sfigate del nostro paese.
Prendiamo il principe dei guru grillini, quello che con i Ray Ban parla dei bei vecchi tempi quando eravamo “poveri ma belli”, l’ineffabile Massimo Fini. Fra i tanti deliri del nostro eroe, questo ci pare il più indicativo del suo modo di pensare, che si può riassumere in una affermazione apodittica: “il debito pubblico è colpa dei dipendenti pubblici e dei pensionati”. Buono a sapersi caro Fini, anche se si scontra con due dati di fatto banalotti. Innanzitutto, il bilancio pubblico italiano registra un avanzo primario da 20 anni, ovvero la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito pubblico è inferiore al gettito fiscale. Gli stipendi pubblici non contribuiscono perciò al deficit e men che meno aumentano il debito stesso. In secondo luogo, la previdenza era già in attivo prima della riforma Fornero, che ha fatto risparmiare ulteriori 3.2 miliardi, per cui nemmeno i pensionati, nemmeno quelli “d’oro” sono la causa del debito pubblico.
Certo, Fini è in ottima compagnia nella cloaca grillina, per esempio rispetto a Saviano. Questo figuro, per dire, sostiene che sono i cravattari della mafia ad aver spinto i Greci nella morsa della disoccupazione di massa, del debito inestinguibile, della recessione cronica.
E che dire di un autentico fuoriclasse, quel Travaglio fustigatore dei pubblici costumi per cui negli Usa, che sono una “democrazia seria”, non esiste conflitto d’interessi? Cioè, se l’intera Amministrazione federale è espressione della lobby petrolifera e di quella militare dal 2001 al 2008, e se successivamente (con il passaggio da Bush ad Obama) Wall Street entra pesantemente nel governo e dirige la più colossale opera di salvataggio di interessi privati con soldi pubblici della Storia, questo non è conflitto d’interessi? E allora cosa sarebbe, di grazia? Obama ha ricevuto (secondo la Federal Election Commission) un totale di 166 milioni di dollari durante la sua prima campagna elettorale da Wall Street, assicurazioni e farmaceutici. Qualcuno, vedendo i clamorosi salvataggi attuati senza nemmeno rinchiudere i banchieri a Guantanamo, oppure i 90 miliardi di dollari che la “riforma sanitaria” regalano ogni anno alle assicurazioni private ed alle multinazionali farmaceutiche potrebbe pensare male. Ma secondo l’eccellente Travaglio, questo non è conflitto d’interessi.
C’è poi Pallante, per cui la crescita dell’occupazione è intrinsecamente perniciosa. Splendida la logica usata dai malthusiani di ogni epoca: la crescita è la causa della crisi, che è esattamente come dire che la vita è la causa della morte. Credo che nessuno se la senta di smentire questo assunto, che però calato nella attualità politica (disoccupazione ufficiale al 13% e perdita del 25% della nostra capacità produttiva) equivale a mettere in guardia un ipotetico Cristo, dopo 40 giorni di digiuno nel deserto, dai pericoli del colesterolo. Satana, che è persona seria e molto concreta, viceversa lo tentò con il pane, perché chi ha fame ha bisogno di cibo, chi è disoccupato ha bisogno di lavoro, chi decresce ha bisogno di crescita, chi è indebitato ha bisogno di danaro, chi ha figli ha bisogno di poterli crescere in relativa sicurezza socioeconomica.
Chiudiamo questa sconfortante carrellata con un guru ad honorem, il venerabile maestro Rodotà, quello a cui cospetto noi miseri peccatori, che in vita è capitato persino di avere delle emozioni, dobbiamo inchinarci. Il purissimo Rodotà, il forcaiolo d’acciaio, il re dei manettari e dei difensori ad oltranza della Costituzione, salvo quando essa contrasti con l’integrazione europea, ergo salvo che nella sua intera struttura economica. In quel caso, anche i parrucconi tacciono. Ma non è questo, in fondo, l’importante. Quello che forse il grillino medio non sa è che anche Rodotà ha peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni, almeno una volta nella sua vita. Per una volta, una sola volta, è stato tentato dal garantismo, quella cosa che oramai è appannaggio esclusivo solo di chi scrive e dei sostenitori di Berlusconi. Il peccato capitale per la feccia radical-chic. In che occasione? Riportiamo un breve passo di una conferenza del 1985, quando Rodotà era deputato della Sinistra Indipendente: “Se si tiene conto del fatto che una persona fosse o no irata o avesse o no bevuto un bicchiere di più, volete che i giudici non abbiano l’obbligo giuridico di tenere conto del contesto in cui quella vicenda si è complessivamente maturata?”.
A cosa si riferisce il Maestro? Ce lo spiega il libro “Le vere ragioni”, che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno organizzato da Democrazia Proletaria a Milano nell’ottobre dell’85. Si parlava dell’assassinio di Ramelli, controllare per credere. La sinistra italiana aveva necessità, in quel frangente, di fare quadrato e riscoprire i valori del ’68 e degli anni ’70. Da lì l’idea di organizzare un convegno con l’obiettivo di rivalutare le battaglie del movimentismo antagonista, in primis agli occhi dell’opinione pubblica. Avete presente quel bel periodo in cui, a quanto pare, “uccidere un fascista non è reato”? Beh, per quanto illuminato, pare che alla fin fine un comunista rimanga sempre un comunista.
Cosa vogliamo dire con questo? Semplicemente, constatare in con una certa malinconia che qualcosa come il 20% degli elettori in Italia, senza dubbio animato da buone intenzioni, ha la testa infarcita di una quantità sesquipedale di castronerie che occultano le cause della spirale recessione-disoccupazione-deflazione in cui stiamo sprofondando.
Non è antagonismo seguire adoranti i portavoce delle procure o i vecchi nichilisti, nemmeno i veterocomunisti spocchiosi o i finti nemici del “potere” con ricche sponsorizzazioni e lucrosi contratti. Perché alla fine si finisce come con il reddito di cittadinanza: una bufala neoliberista ideata appositamente per distruggere lo Stato sociale ed abituare i lavoratori al precariato che diventa una sorta di panacea a tutti i mali della società.
Matteo Rovatti