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L’esperta di diritto della navigazione: “Legittimo respingere la Sea Watch” (Audio)

by Elena Sempione
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Roma, 1° lug – Non accennano a placarsi le polemiche sulla Sea Watch, che sta diventando sempre più un caso internazionale. Per difendere la comandante Carola Rackete – che è stata arrestata per aver forzato il blocco della Guarda costiera e aver schiacciato una motovedetta della Gdf – la sinistra si è mobilitata con parlamentari, artisti, intellettuali o presunti tali. Ma l’argomentazione morale stride di fatto con le leggi nazionali e internazionali. A ricordarlo è stata, tra gli altri, Elda Turco Bulgherini, ordinario di diritto della navigazione all’Università di Tor Vergata e uno dei massimi esperti italiani in materia.

L’audio che inchioda la Sea Watch

Parla l’esperta

Contattata da Oscar Giannino, durante il suo programma La versione di Oscar su Radio24, la professoressa Turco Bulgherini è stata molto chiara: «C’è un Codice della navigazione che, come norma di carattere generale, prevede che la polizia sul mare viene esercitata anche nei confronti delle navi straniere e quindi nelle acque territoriali italiane. Ovviamente con totale giurisdizione in questo caso dell’Italia. Ora, l’interdizione ad entrare era legata all’osservanza di una Convenzione che è quella delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che quando parla di “mare territoriale” dice che le navi straniere possono entrare nelle acque territoriali di uno Stato costiero qualora il passaggio sia “inoffensivo”. In questo caso – prosegue la docente – lo Stato italiano ritiene che il passaggio non sia inoffensivo, ma sia offensivo, in quanto una delle ipotesi previste dall’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite prevede proprio le ipotesi di immigrazione [illegale]. Quindi, sia in base alla convenzione di Montego Bay, sia in base al Codice della navigazione, sia soprattutto in base al recentissimo decreto Salvini, l’interdizione c’è stata nei confronti delle navi straniere che entrano nelle acque territoriali, nel momento in cui è stato interdetto l’ingresso in relazione al fatto che ci sia una violazione di queste di queste norme».

In sostanza, la Sea Watch ha violato sia il diritto italiano che il diritto internazionale. Quali conseguenze sono previste? «Sia nei confronti del comandante, sia dell’armatore, che del proprietario della nave», continua l’esperta di diritto della navigazione, possono essere applicate «delle sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, quindi bisogna verificare se vi sia una fattispecie criminosa di immigrazione clandestina come prevede il Testo Unico sull’immigrazione, e poi c’è anche la previsione di una sanzione amministrativa del pagamento di una somma che mi pare vada da 10mila a 50mila euro. Peraltro mi sembra di ricordare che il decreto preveda che in caso di reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave si applica anche la ulteriore sanzione, considerata accessoria, in base alla quale la nave viene confiscata».

Il caso della Sea Watch

A questo punto, la domanda è se la Sea Watch rientri effettivamente in questa fattispecie: «La cosa – continua la Turco Bulgherini – è molto grave dal punto di vista del diritto internazionale della navigazione, perché la nave si trovava in acque Sar, cioè Search and Rescue, di un altro Paese che è quello libico, e il porto sicuro più vicino, anche volendo evitare quello libico, era quello tunisino, dopodiché, una volta entrata nelle acque Sar maltesi, avrebbe potuto andare a Malta, ma non ha voluto e si è diretta verso Lampedusa». Inoltre, come specificato dalla Convenzione Onu sul diritto del mare, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è uno dei punti che rendono «offensiva» l’entrata di una nave straniera nelle nostre acque territoriali: «Quindi – conclude l’esperta – in questo caso lo Stato costiero [l’Italia] ha tutto il diritto di ritenere nei confronti di una nave straniera che quel passaggio nelle proprie acque territoriali venga considerato offensivo e quindi può imporre alla nave di abbandonare le acque territoriali dello Stato». Qualora non lo facesse (e la Sea Watch non l’ha fatto), «naturalmente ci sono responsabilità di carattere penale – che sarà nei confronti delle persone, perché la responsabilità penale ha carattere personale – e poi ci sono anche sanzioni di carattere amministrativo».

Elena Sempione

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