Roma, 4 nov. – V
Proprio lo stato di “perenne emergenza” che vivono le nostre amministrazioni, causato e foraggiato dalle ruberie e dall’incapacità della politica, porta sempre più spesso alla scelta di una figura terza, non eletta e quindi non legata alla ricerca del consenso, quasi sempre di un magistrato o di un prefetto, che “rimetta le cose a posto”.
Nascono così figure come Cantone, Sabella, Gabrielli e Tronca, spesso incensati e investiti di una “missione salvifica”. Prefetti e magistrati, dunque dei “tecnici”, che spesso appaiono non così dispiaciuti di una rib
A Roma, in età repubblicana, col termine praefectus si indicavano quei magistrati (praefecti iure dicundo) che dal Pretore urbano erano delegati alla giurisdizione sulle città situate oltre una certa distanza dall’Urbe. Di fatto si trattava di funzionari eletti, un tempo dal Re e più tardi dai Consoli, i quali fungevano da sostituti da preporre al governo della città nel caso di assenza dell’organo di potere. E’ evidente quindi che tale funzione decadesse al rientro della legittima autorità. In alterne vicende la funzione del prefetto ebbe ruoli più specifici, ricoprendo cariche di coloro che fanno le veci dell’incaricato depositario dell’imperium, negli ambiti nei quali un unico individuo, evidentemente, non potesse essere contemporaneamente presente.
Esistettero quindi il prefetto dei vigili, il prefetto della cavalleria, il prefetto della città quello dell’annona e così via.In età moderna la figura del prefetto fu reintrodotta prima dell’unità d’Italia nel Piemonte e rappresentava il potere esecutivo in tutta la provincia e il controllo sugli enti locali. Con la nascita dello Stato liberale la figura del prefetto fu fortemente subordinata al governo.
Ma fu a seguito dell’avvento del fascismo che il prefetto divenne lo strumento per assicurare al controllo dello Stato, l’attuazione in sede locale, delle direttive politiche del governo. E caduto il fascismo? Nella solita retorica di facciata fu da più parti invocata l’abolizione di tale figura, ritenuta in contrasto con i principi della democrazia liberale. Ma i padri costituenti ben si guadarono dal definire la questione e rimisero la cosa a coloro che si sarebbero occupati della legislazione. Della serie “queste cose non si fanno a meno che non le faccia io”.
Ed effettivamente la questione è stata risolta perché del prefetto si è conservato il nome, ma il contenuto è stato riempito con il potere proprio del (udite udite) dittatore. Ma non parliamo di quella carica romana con poteri limitati nel tempo (non poteva rimanere in carica più di sei mesi ), fornito di pieni poteri civili e militari, con capacità di sospendere tutti gli altri magistrati e la cui nomina straordinaria da parte del senato assicurava in caso di gravi pericoli (la guerra ad esempio, non le alluvioni…) l’unità di direzione allo stato, pur salvaguardando a pieno la continuità delle istituzioni repubblicane. Non del dictator stiamo dunque parlando nel caso dei super prefetti, ma di dittatura in senso lato o volgare del termine, quale sinonimo di assolutismo, autocrazia, dispotismo.
Avendo anche i poteri di autorità provinciale di pubblica sicurezza, ha la responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza pubblica della Provincia, disponendo della forza pubblica e coordinandone l’attività. In caso di necessità può richiedere l’intervento delle forze armate. Insomma, esclusa la pena di morte e lo ius prime noctis è praticamente un monarca dipendente dal ministro dell’Interno. Rebus sic stantibus, a Roma 2500 anni fa, uno con questi poteri sarebbe stato accusato di voler ristabilire la monarchia e per tali accuse la Repubblica prisca e romana applicava, li si, la pena di morte!
Marzio Boni
1 commento
“A Milano i comunisti occupano la prefettura. E’ una loro mania. Non sanno che le prefetture sono enti inutili, ormai da abolire” (S. Ricossa in Come si manda in rovina un Paese. L’anno è il 1948. Conoscerete senz’altro il famoso scambio di telefonate fra Pajetta e Togliatti:”Abbiamo occupato la prefettura” – “Bravi, adesso che ne fate?”)