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Torna Love, Death & Robots: la serie “troppo” eterosessuale di Netflix

by Sergio Filacchioni
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Love

Roma, 27 mag – Da circa una settimana è sbarcata su Netflix la terza stagione di “Love, Death & Robots”, l’incredibile antologia di cortometraggi d’animazione dedicati a visioni futuristiche, paranoidi, grottesche, horror, distopiche e cyberpunk del futuro, che già da due anni dalla sua prima apparizione ha conquistato il pubblico. Ma a qualcuno nonostante il successo conclamato continua a non piacere, perché in fondo “la fantascienza è un maschio etero”.

Love, Death & Robots

La serie ideata e prodotta da David Fincher – il visionario regista di Seven e Fight Club -e Tim Miller è sbarcata con la sua prima stagione già nel 2019 rivoluzionando l’immaginario fantascientifico legato all’animazione. Con tutte le sue trovate, dal crudo cinismo alle atmosfere distopiche più cupe ed angosciose, si è affermata come una delle serie più riuscite di Netflix che infatti ha continuato a rinnovarla per una seconda e poi terza stagione. Ogni puntata è una piccola pillola, un distillato d’odio e amore, di cyborg e carne, di mostruose creature ed eroi bislacchi quanto coraggiosi. Fin qui voi direte “ok, mi hai convinto”, ma se non bastasse lo scorrere adrenalinico di ogni puntata autonoma ed autoconclusiva e l’audacia riversata nei temi trattati per convincervi vi basti sapere che qualcuno è riuscito a lamentarsi. Di cosa? Che “Al terzo volume di cortometraggi, la serie di fantascienza più sperimentale di Netflix non sembra ancora ricordarsi che esistono le persone apertamente queer”. Incredibile ma vero, nonostante la piattaforma sia invasa di propaganda woke, gender e metoo, qualcuno è riuscito a lamentarsi di una serie che, strano ma vero, non parla di sesso. Se ne parla lo fa in maniera parallela ad altri temi, e lo fa in maniera libera (magari in modo disturbante per i neo-puritani) ma senza farlo diventare una marchetta pubblicitaria e senza renderlo lo scopo ultimo, come per esempio accade in una serie ben più spinta dal mondo mainstream come Sex Education.

La critica della buoncostume

La serie è di per sé ideata per disturbare: violenza, mostruosità, nudo senza censure e una buona dose di gore fanta-horror la rendono un magnete perfetto per le critiche. Ma ciò che ha disturbato i criticoni di Mashable Italia non è stata la cupezza e nemmeno le profezie distopiche sulle macchine, il controllo e la biopolitica ma piuttosto che “Nel terzo volume della serie solo in un cortometraggio su nove i protagonisti sono neri. Se non sono robot o lune senzienti, nessuno è queer. Tutti sono bianchi eterosessuali. L’erotismo, quando c’è, porta con sé una buona dose di classica sessualizzazione del corpo femminile, con tutte le mutazioni aliene del caso. Perché i cortometraggi sono spesso orrorifici. E a essere mostruosa è quasi sempre la donna: granchio, regina di un alveare, se vogliamo pure satellite celeste, che è poi un modo per dire che se non reagisce come l’uomo si aspetta, allora è una creatura insettoide”. Sembra proprio un tema da puntata: una società mediatica della buoncostume che giudica tutto sulla misura del “Vangelo secondo l’altro”, che si eccita per una donna nuda ma prova ribrezzo per la sua stessa erezione. Siamo una società pornografica ed iper-sessualizzata che vuole vedere il sesso ovunque ma che si auto-critica per la sua stessa sessualità, per la sua stessa eccitazione di fronte a ciò che è violento e quindi erotico. Cosa c’è di male in un “classico” corpo femminile? Perché una serie che parla di futuro dovrebbe coprirlo e negarlo? Per altro la lettura che ne fa la rivista è superficiale, perché invece la terza stagione ha un importante presenza femminile nel suo repertorio, da una scienziata che cerca i segreti di un alveare alieno fino a raggiungere la simbiosi ad una soldatessa che scopre un “grande antico” (vedere Lovecraft) incatenato nelle viscere della Terra passando per un’astronauta che scoprirà su Io (la luna di Giove) il senso della sua vita. Nessuna visione parassitaria della donna, ma sicuramente uno sguardo profondo e non buonista sugli abissi che si aprono difronte all’ignoto, che evidentemente disturbano chi legge il mondo con le lenti fenomenologiche della filosofia Marxista: quella che dal punto di vista sociologico è la più facile da capire.

Il futuro non è solo trans

Insomma, il peccato della serie è non contemplare un futuro cis/trans/queer, senza neri e solo con bianchi-etero a cui piace la figa e la violenza. Come ridurre al nulla una serie complessa che tenta di portare all’estremo le figure archetipali del nostro genoma. La donna non solo come sesso ma come arco teso tra più possibilità, tra l’alto e il basso, tra la biologia e la teologia, tra la madre e la sirena. Una madre può rappresentare l’affetto quanto l’ossessione. Una sirena il desiderio quanto la sacralità (è il caso della puntata conclusiva della terza stagione – Jibaro). Così come l’uomo può essere eroe quanto vile, violento quanto santo, umano quanto robotico. Non ci aspettiamo che chi vuole vedere solo la sua figura riflessa (come Narciso) nel presente quanto nel futuro possa apprezzare le differenze e le sfaccettature che ci offre Love, Death & Robots. Il futuro non è solo trans, lasciate all’immaginazione il gusto di rendere possibile storie diverse dalla vostre.

Sergio Filacchioni

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1 commento

jenablindata 27 Maggio 2022 - 9:40

oooohhh,ma che due maroni
con ‘sti

LGBT+QNPZ,
WOKE,
BLM e
NAZIFEM:

ma perchè non si fanno una comune tra di loro…
completamente interdetta agli etero,ai bianchi e allle uomini e donne normali
e non la finiscono una buona volta di romperci le scatole?

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