Roma, 12 ott – Le rate non pagate salgono di quasi 26 miliardi da agosto 2014 ad agosto 2015. In calo i finanziamenti alle imprese del 2%: la ripresa manifatturiera non si vede nemmeno da lontano, secondo l’Unione nazionale di Imprese, o Unimpresa, associazione di rappresentanza trasversale di micro, piccole e medie imprese afferenti a tutti i settori – primario, secondario e terziario – fondata nel 2003 e che “nelle sue azioni si ispira ai principi della Dottrina sociale della Chiesa”.
Continua la crescita delle sofferenze bancarie
Secondo lo studio di Unimpresa, è stato stabilito un nuovo record per le sofferenze bancarie: negli ultimi 12 mesi, da agosto 2014 ad agosto 2015, sono cresciute del 15% arrivando a superare i 198 miliardi di euro, in aumento di quasi 26 miliardi: dai 172,4 miliardi di agosto 2014 ai 198,4 miliardi di agosto 2015. La fetta maggiore di prestiti che non vengono rimborsati regolarmente agli istituti di credito è quella delle imprese (142 miliardi), le “rate non pagate” dalle famiglie valgono più di 36 miliardi, mentre quelle delle imprese familiari sono vicine a 16 miliardi. Superano il tetto dei 4 miliardi, poi, le sofferenze della pubblica amministrazione, delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie.
Complessivamente, le sofferenze bancarie adesso corrispondono al 14% dei prestiti bancari, in aumento rispetto al 12% di un anno fa. Alla fine del 2010 le sofferenze ammontavano a 77,8 miliardi: in quattro anni e mezzo, quindi, sono più che raddoppiate. Dati che confermano e aggravano quelli di soli tre mesi fa. In pratica l’industria, e soprattutto la piccola e media impresa, va sempre peggio.
Quale conseguenza di questa improduttività del capitale a debito, le banche hanno tagliato i finanziamenti a imprese e famiglie per complessivi 8 miliardi (-0,5%), ma del 2,26% per le sole imprese, così che in totale lo stock di finanziamenti al mondo produttivo è sceso da 819,4 miliardi a 801,1 miliardi.
Aumenta invece il credito al consumo
In controtendenza invece il credito al consumo, aumentato di quasi 12 miliardi (+20,48%) cui tuttavia non fanno riscontro i mutui (-0,22%) e i prestiti personali (-0,43%). In realtà, la controtendenza del credito al consumo è solo apparente e alquanto pericolosa perché, come concludemmo qualche tempo fa su questo giornale, “la stessa recessione dell’economia reale rende sempre meno sostenibile coi soli redditi da lavoro lo stesso debito contratto dai cittadini e dalle famiglie, trasferendo di fatto e direttamente su questi soggetti e sui relativi patrimoni privati una parte crescente dell’onere di alimentare la finanza creativa internazionale”. Così che, una volta venuta inevitabilmente meno la politica degli interessi zero, molti di questi debiti che in un’economia normale sarebbero sicuramente classificabili subprime, cioè ad alto rischio, si risolveranno in una insolvenza generalizzata o, bene che vada, in un bagno di sangue per i patrimoni delle famiglie.
Un quadro, quindi che tratteggia meglio di altri il fallimento del governo Renzi già chiaro da tempo: all’illusione di una domanda costruita sulle fragilissime fondamenta della politica finanziaria espansiva, pronte a cedere al primo rialzo dei tassi d’interesse, fa da contrappunto la dura e incancellabile realtà del deserto di politica industriale che non consente al pur abbondante credito disponibile di trasformarsi in fatturati e profitti e quindi nemmeno in redditi e retribuzioni, alimentando una spirale perversa con cui più presto che poi dovremo fare i conti.
Francesco Meneguzzo