Roma, 29 dicembre – Il bullismo e i cellulari in classe: dopo le urgenze che non potevano assolutamente essere rimandate sul tema scuola il titolare dell’Istruzione Giuseppe Valditara al Foglio: “È finita l’epoca post ’68 del contesto scolastico come luogo di militanza politica”. Che se da una parte potrebbe essere anche una buona notizia, il Ministro dovrebbe spiegarci con cosa sostituirla: ma la sua ricetta è ancora peggio.
Valditara gongola
“Penso sia cambiato qualcosa in profondità: lo sciopero come strumento di lotta politica non tira più. Non funziona più. Si è chiusa, o si sta chiudendo, un’epoca. È ora di avviare una stagione di confronto costruttivo, nella logica di quella grande alleanza fra docenti, studenti, famiglie, istituzioni, parti sociali che ho da subito auspicato”. E il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, si riferisce ai dati clamorosi che il Foglio pubblica oggi che riguardano il recentissimo sciopero generale nella scuola del 12 e 16 dicembre 2022 proclamato dalla Cgil. Ma veramente crediamo che l’egemonia della sinistra nella scuola si riduca allo sciopero sindacale? Veramente una scuola asettica e di larghe intese – ovvero aziendale – è il modello da opporre a quello della sinistra progressista? A quanto pare il Ministro scivola ancora su un tema cruciale come quello della scuola, dove l’apparente volontà del nuovo governo si è mostrata attraverso un vecchio sgherro di tagli e depotenziamenti, che non ha una reale visione d’insieme rispetto al terreno di scontro rappresentato dai “banchi delle classi”.
Scuola è politica
No, caro Ministro. Il contesto scolastico è un luogo di militanza politica, forse il più importante, dato che coinvolge direttamente le nuove generazioni che iniziano a confrontarsi con le istituzioni e il concetto stesso di comunità e cittadinanza. A spoliticizzare la scuola ci hanno già pensato vent’anni di tagli e aziendalizzazioni delle scuole volute dal Partito Democratico, trasformando un’istituzione pubblica in una macchina di precariato e conformismo. Combattere la sinistra a scuola significa proprio impegnarsi politicamente: con i giovani, con i docenti e con i lavoratori della scuola per offrire soluzioni politiche – e non tecniche – su temi importanti quali il calo demografico, i tagli di spesa, l’abbandono scolastico, l’emigrazione giovanile. Abbiamo più che mai bisogno di un rinnovato impegno politico sulla scuola se vogliamo strappare quel mondo alle cricche rosse e ai sindacati. Non basta gongolare sulle disfatte della Cgil, ma iniziare a ricostruire un’alternativa politica e culturale nelle scuole e nelle università, con interventi coraggiosi, che chiamino alla partecipazione e non ad un disimpegno di larghe intese.
Sergio Filacchioni
1 commento
Manca la domanda clou, per quale motivo bisogna studiare senza speranza ed impegno politico?
Per reggere la carretta altrui? Come certi somari… cloud digitali?