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Via Nazionale e feticismo costituzionale: le false flag della sinistra

by Sergio Filacchioni
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Roma, 16 mag – Che la sinistra abbia un problema con la Storia non è certo una novità. Ma ogni tanto capita un episodio che rende evidente, lampante, quasi grottesco questo disagio profondo con tutto ciò che precede – e talvolta anche ciò che segue – il 1948. L’ultimo caso? La proposta avanzata in Campidoglio di cambiare il nome di via Nazionale in via della Costituzione. Non per motivi urbanistici, né per decisioni dettate da esigenze della cittadinanza, ma per una pulsione ideologica che cerca, ancora una volta, di ridefinire la nostra identità nazionale partendo dal suo azzeramento.

Via Nazionale e il problema della sinistra con la storia

Perché non si può più dire “nazionale”? Cosa c’è che disturba in questa parola? Cos’è che li fa tremare ogni volta che sentono evocare un’appartenenza superiore ai diritti individuali, un’idea collettiva che abbia radici, sangue, destino? La risposta è chiara: la sinistra ha un problema con la Nazione. Con tutto ciò che è venuto prima del 1948. Con il Risorgimento, con il Regno, con il Fascismo, perfino con la storia imperiale di Roma, quando capita. La sinistra vuole un’Italia senza antenati, senza eroi, senza memoria – solo con “diritti”, “inclusività”, e strade intitolate a valori astratti. Ma attenzione. A valere qui non è l’amore per la Costituzione in quanto tale. Nessuno ne discute la centralità nel quadro giuridico dello Stato. Ma ciò che emerge è una sorta di feticismo costituzionale, un culto astratto e disincarnato che si nutre di una riverenza quasi sacrale, ma completamente priva di sostanza. Più si celebra la Costituzione, più se ne ignora il contenuto. Più la si erge a simbolo, più la si svuota del suo senso reale. Diventa un idolo vuoto, un totem utile solo a giustificare l’ennesima amputazione della memoria nazionale.

Un’idea di Nazione che precede la Costituzione

Ma perché proprio via Nazionale? Perché richiama, sia pure indirettamente, un’idea di Nazione che precede la Costituzione. Che è più antica. Più profonda. Più vera. Ovviamente c’è una contraddizione evidente, e profonda, in questa operazione. Le forze che si rifanno all’antifascismo, infatti, si sono sempre caratterizzate per un carattere antinazionale: legate più a ideologie internazionaliste, al culto della Resistenza come “atto fondativo” e alla diffidenza verso qualsiasi richiamo alla Patria intesa come comunità di destino. Al contrario, è stato proprio il Fascismo – che oggi si vuole esorcizzare attraverso l’idolo costituzionale – a coinvolgere per la prima volta le masse nella vita della Nazione. È stato il fascismo a dare carne e sangue a quella parola che ora si tenta di sradicare dalle insegne stradali. Ma concentriamoci sul cuore del problema: la Costituzione come mito incapacitante. Come ha chiarito Carl Schmitt, le costituzioni non creano la realtà: la seguono. Sono il prodotto razionale di processi storici concreti, di rapporti di forza sedimentati nel tempo. Non si può racchiudere la vita di una Nazione dentro uno schema astratto. Farlo equivale a una violenza sulla realtà, a una riduzione burocratica del divenire. Joseph de Maistre, nel suo Saggio sul principio generatore delle costituzioni, lo dice chiaramente: “La costituzione è l’opera delle circostanze, e il numero di queste circostanze è infinito”. Non è qualcosa che si scrive a tavolino, ma che cresce nel tempo, forgiata dalla storia, dal sangue, dal sacrificio. Per lui, ciò che vi è di più profondamente costituzionale “non potrebbe mai essere scritto”. Ecco perché è insensato – oltre che ridicolo – voler fare della Costituzione la radice dell’identità italiana. Non lo è. Non può esserlo. È semmai un riflesso di quella identità, e se questa identità viene negata, allora anche la Costituzione diventa una scatola vuota.

La vera identità non si scrive nei codici

Pretendere di fondare la coscienza nazionale sul testo della Costituzione è come voler far nascere un bambino scrivendo il suo certificato di nascita. È un errore di prospettiva, un ribaltamento della realtà: si confonde la conseguenza con la causa, l’effetto con il principio. Ma forse dietro queste operazioni non si celano grandi menti illuminate: probabilmente solo il peloso tentativo di essere più realisti del Re. La Costituzione italiana è già onnipresente e sovraesposta, sventolata dagli attori e imbracciata dai sindacalisti: al momento non corre nessun pericolo, gode di ottima salute e notorietà. Anzi, l’ultimo che ha provato a toccarla era del Partito Democratico… Via Nazionale probabilmente resterà, con la sua storia e con ciò che rappresenta: già ieri doveva tenersi la discussione della mozione in Consiglio Comunale, ma per questioni di priorità è slittato. E dopo le polemiche, in serata è arrivato anche il comunicato di Massimiliano Smeriglio, assessore alla Cultura: «Via Nazionale non cambierà nome perché è una strada storica e quindi non può cambiare». E così trapassano i buoni propositi. Giuseppe Verdi, da una delle finestre dell’Albergo Quirinale si affacciò sul popolo festante in occasione della prima romana del Falstaff, il 13 aprile 1893. Una lapide lo ricorda, scolpita nella memoria architettonica della città. Come a dire: la vera identità di Roma – e dell’Italia – non si scrive nei codici, ma si incarna nei suoi uomini, nei suoi luoghi, nei suoi gesti.

Sergio Filacchioni

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