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Dal mito alla medicina, da Roma ad oggi: le virtù delle erbe

by La Redazione
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erbe erboristeria Roma, 17 giu – I principali quotidiani riportano la morte in Francia di Maurice Messeguè, considerato uno dei guru dell’erboristeria e dell’utilizzo in genere delle erbe a scopo curativo. Divulgò le sue conoscenze al pubblico attraverso i suoi libri, di cui il più famoso, pubblicato nel 1952, «È la natura che ha ragione», stampato in 500mila copie e tradotto in dieci lingue.

Lo studio delle erbe e delle loro proprietà ha radici antichissime, che si perdono nella notte dei tempi. Il tutto poi si intrecciava profondamente con i miti e i loro significati occulti, espressi spesso proprio dalle piante. Famoso è il mito di Apollo e Dafne, cristallizzato dalla splendida statua realizzata dal Bernini, ancor oggi visibile presso la galleria Borghese di Roma. Il Dio, invaghitosi della ninfa a causa delle frecce lanciategli da Eros, la rincorreva per amarla. La ninfa impaurita invocò la madre terra, che le concesse di trasformarsi in una pianta di alloro, per sfuggire al Dio. Scrive Ovidio nelle Metamorfosi (I, 555-559): «Apollo l’ama, e abbraccia la pianta come se fosse il corpo della ninfa; ne bacia i rami, ma l’albero sembra ribellarsi a quei baci. Allora il dio deluso così le dice:”Poichè tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l’albero mio: di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra». Il Dio quindi proclamò a gran voce che la pianta dell’alloro sarebbe stata sacra al suo culto e segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori.

In epoca storica, il celeberrimo Corpus Ippocratico (un insieme di scritti medici databili tra il V e il III sec. a.C. e attribuiti in toto al grande medico greco di Cos) ricorda il nome di 130 piante officinali. Dioscoride, il famoso sistematore della botanica officinale che visse all’epoca di Plinio, nel suo De materia medica ne elenca oltre 800, di cui moltissime asiatiche o egiziane. Plinio il vecchio, autore della fondamentale Historia Naturalis, sosteneva che sarebbe bastato raccogliere e conoscere le erbe dell’orto, per trasformare la medicina nella più misera delle professioni. Ma Plinio ricordava anche l’utilizzo delle erbe come profumi sacri: ai tempi della guerra di Troia, si bruciavano sugli altari soltanto ramoscelli di cedro e limone. Anche l’incenso, aroma liturgico per eccellenza, non appartenne agli usi della tradizione delle origini. Molto probabilmente fu il rosmarino il suo illustre precedente: infatti, per l’intensità del suo aroma e per le virtù purificanti, era di fatto spesso utilizzato in sostituzione dell’incenso, tanto da essersi guadagnato il soprannome di “pianta dell’incenso”, nonostante fosse un arbusto comune, di facilissima reperibilità, contrariamente all’esotico e costoso incenso.

In epoca medievale, spesso fu proprio a causa delle conoscenze delle erbe e delle loro proprietà che la Chiesa mise al rogo molte donne, condannandole come streghe. Famosi e ricercati furono il Pollibastro e la Centofoglie, che crescevano sui monti Sibillini, meta dei cavalieri provenienti da tutta Europa alla ricerca della Regina Sibilla e del lago infernale.

Dall’altra parte del mondo, negli anni settanta Castaneda rese famose, attraverso i suoi libri, le piante psicotrope Erba del diablo e Humito (piccolo fungo). Gli sfigati di quel periodo le conobbero come droghe, ma qualcuno riuscì ad andare oltre e a scoprire la via del guerriero indicata dallo stregone don Juan.

Ma facciamo di nuovo un salto indietro nel tempo: a Roma i sacerdoti feziali, addetti alla dichiarazione di guerra, erano contraddistinti da semplici ciuffi fasci di verbena, un’erba dagli effetti potentissimi sia in campo della difesa che dell’energia donata (il famoso Galeno raccomandava la verbena per “fortificare il membro”). AI nostri giorni, riprendendo lo spirito dei feziali, va dichiarata guerra ai nemici e ai traditori della patria, che vogliono minacciare il diritto ad esistere della nostra stirpe.

Marzio Boni

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