Roma, 30 lug – Nella sua tutt’altro che sfolgorante carriera da allenatore, il belga Marc Wilmots – qualche lettore lo ricorderà piuttosto nelle vesti di giocatore, con la maglia dello Schalke 04 decise una Coppa Uefa ai danni dell’Inter – si è dovuto suo malgrado scontrare con la storica graniticità della retroguardia azzurra. Era la gara d’esordio di Euro 2016 e la promettente generazione dorata – tra gli altri Courtois, De Bruyne, Hazard, Lukaku – andava incontro alle prime brucianti delusioni: in quella calda serata lionese la nazionale operaia di Conte si sbarazzò con pochi patemi dei diavoli rossi. «L’Italia? Non gioca al calcio» ovvero leggendo tra le righe l’infelice uscita del cittì vallone: i nostri avversari sono maestri nel sapersi difendere. Insegnanti (non solo) per l’occasione Barzagli, Bonucci e Chiellini – a cui va aggiunto Buffon. Una delle tante pagine di storia della BBC, il muro – anche azzurro – della Torino juventina.
L’intuizione di Conte
Ogni successo – piccolo o grande che sia – parte infatti dalle fondamenta, che tradotto nel verbo calcistico suona più o meno come “la prima regola è non prenderle”. E in casa Juventus l’irripetibile storia dei nove scudetti di fila inizia dall’intuizione contiana di optare per la difesa a tre. Discreti interpreti in una retroguardia a quattro, il punto di svolta delle loro carriere è il 29 novembre 2011. Napoli-Juve finisce 3-3: pur messi in imbarazzo dagli avanti partenopei – Hamsik sbagliò anche un rigore – il punto più basso della stagione (se così vogliamo chiamarlo, in un’annata dove i bianconeri comunque non conoscono sconfitta) coincide però con il primo mattoncino di un dominio assoluto prolungatosi per quasi un decennio. Fortezza tutta italiana che al termine del campionato vinto subirà solamente altre dieci reti.
La pietra angolare di ogni successo
Ma – soprattutto nel pallone – è impensabile pensarsi solo sulla difensiva. E allora considerare la portata storica del solido trio a un conteggio di porte inviolate e minuti di imbattibilità (il primato di 973’) sarebbe ingiusto e riduttivo. Barzagli era la personificazione dell’intelligenza tattica, Chiellini portatore sano di aggressività e cattiveria agonistica. Bonucci – per così dire – il “meno difensore” della truppa ma quello a cui madre natura ha donato di più sul piano tecnico, delle geometrie. Moderna rivisitazione del libero con due marcatori, nasce da qui l’idea del doppio regista (uno dietro, l’altro ovviamente nel mezzo) che ancora oggi ritroviamo nelle scacchiere di un pallone nostrano sempre più costruito dal basso. Anche sotto la successiva gestione Allegri la BBC – una e trina – è la pietra angolare di ogni successo della Vecchia Signora.
La BBC, il canto del cigno
Tante conquiste (sette scudetti, tre coppe Italia, quattro supercoppe) e un paio di capitoli avversi – le due finali di Champions League. Poi, qualcosa si rompe e l’attuale capitano azzurro se ne va al Milan. La Juve continua a vincere e il “tradimento” dura solamente dodici mesi. La trincea si ricompone nel 2018/19, Chiellini eredita da Buffon la fascia sul braccio e la BBC vince il suo ultimo tricolore. Barzagli appende così gli scarpini al chiodo, Re Giorgio risolverà il contratto nell’estate 2022. Oggi nel pieno del cambio generazionale juventino anche Bonucci è al tempo dei saluti e, in attesa di novità da radio mercato, costretto fuori rosa ad allenarsi in solitaria.
Prima di loro tra i grandissimi un trio di “ragionieri” (anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso: il portiere Combi con i terzini Rosetta e Caligaris) e il quartetto mondiale Zoff-Scirea-Gentile-Cabrini. I nostri, patrimonio del calcio all’italiana, sono stati oggetto di culto per una generazione di difensori: il reparto arretrato come vanto e motivo di orgoglio. In attesa che la vincente tradizione si rinnovi…
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Marco Battistini