Roma, 13 apr – Il popolo dei ristoratori non ha di fatto potuto manifestare il proprio malessere e il proprio sdegno. Piazza Montecitorio ieri era militarizzata come se le autorità si aspettassero un assalto alle istituzioni, quando invece l’intenzione era banalmente si mostrare i volti e i corpi massacrati dopo mesi di chiusure e restrizioni. Non ne avevano diritto? Chissà, ma di certo ne avevano la libertà. Che poi la nostra carta costituente annoveri tra i suoi principi fondamentali il diritto a manifestare il proprio pensiero poco conta. Un diritto proviene sempre da un dettato normativo, anche se di rango costituzionale. La libertà individuale, invece, preesiste a tutto ciò ed è fondativa della dignità di ognuno di noi.
I ristoratori? Liberi di manifestare
Rimettere la nostra libertà nelle mani di un Parlamento affinché questo la trasformi in diritto, significa concedergli la possibilità di non farlo o di farlo aggiungendo però delle condizioni affinché di tale diritto si possa godere. Dunque, il popolo dei ristoratori aveva piena libertà di portare il proprio malessere di fronte agli occhi dei miopi governanti. Non sono stato accolti ma addirittura respinti, segno che quel luogo pubblico non appartiene più al popolo ma è divenuto parte del regno dei regnanti. E non è più di ognuno di noi la libertà di decidere autonomamente della propria esistenza. Dall’intervento del governo atto ad arginare la pandemia, siamo naturalmente scivolati verso una militarizzazione delle coscienze e verso una regolamentazione capillare di ogni singolo attimo della nostra vita.
Un Paese in scacco di una classe dirigente mediocre
Le relazioni, gli affetti, i sentimenti, ciò che accade nelle nostre case private, è stato tutto inghiottito dai grandi burocrati d’ispirazione sovietica che, come Stalin con i piani quinquennali, gestiva mese per mese, giorno per giorno, le nostre esistenze e le nostre attività. Per dirla coi sepolcri imbiancati di coloro che chiedono da un quarto di secolo che l’Italia diventi normale, non è affatto normale che un Paese sia tenuto in scacco da una classe dirigente mediocre e incapace di progettare e programmare il ritorno alla quotidiana libertà, preferendovi lo scivolamento costante verso un sempre maggior stato di polizia.
I ristoratori avrebbero chiesto per quale dannato motivo, poste le ristrettezze economiche cui versa l’Italia nonostante gli scostamenti di bilancio, il governo non abbia mai pensato di ovviare a questo limite intraprendendo la strada delle coraggiose riaperture. Ma non da adesso, bensì un anno fa. Il trasporto pubblico intasato di pendolari fa a cazzotti coi ristoranti vuoti e sbarrati. La repressione della manifestazione dei ristoratori, dopo le altre mille vessazioni subite (si pensi all’incoraggiamento alla delazione del vicino di casa), è l’ultimo atto di una commedia tragica da cui ne stiamo uscendo con le ossa rotte.
Lorenzo Zuppini
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