Roma, 20 apr – Si discute sempre più animatamente del concetto e della visione di Europa. Per tanti che lo fanno a sproposito, ragionando per negazione e coniugando la voce del verbo decostruire, c’è chi – al contrario, per fortuna nostra e dei nostri figli – si pone verso l’argomento continentale in maniera realisticamente costruttiva. Proprio su queste pagine vi abbiamo parlato qualche giorno fa del simbolo dell’Istituto Eneide. In particolar modo della sua funzione evocativa, un “sentire” giocoforza da “mettere a terra”: ecco allora il manifesto del centro studi italiano per la lunga memoria europea.
“Sotto lo stesso sole”
Enea, Europa, Esperia. Partiamo proprio dal centro, dalla E arcaica posta nel cuore del logo: l’Italia è da sempre “la terra dove il sole va a nascondersi e a rigenerarsi in attesa di risorgere”. Nel corso di un discorso tenutosi al Teatro Lirico di Milano nell’ormai lontano 1944 un noto statista del secolo scorso, ragionando sul paradigma continentale, sottolineò la “sottile, ma fondamentale” differenza tra il sentirsi-europei-in-quanto-italiani e il sentirsi-italiani-in-quanto-europei. Popoli diversi ma allo stesso tempo affini che condividono lo stesso sole, sotto al quale il nostro specifico compito dovrà essere quello di portare “in dote i millenni di cultura, di bellezza, di originalità, di inventiva, di sperimentazione di cui siamo eredi”.
Così, nel precisare che “l’italianità non è mai stata contraddistinta dal ripiego sciovinista o dall’isolazionismo”, l’Istituto Eneide si pone due chiari obiettivi complementari fra loro. Ovvero “l’impegno per l’Europa potenza” e per “una Italia padrona del proprio destino”. Recuperare quindi, nell’epoca dei grandi spazi, la nostra memoria romana, quella propensione nel “proiettarsi di là da se stessi”.
Istituto Eneide, per superare l’Europa attuale
Da queste parti l’Unione Europea, ovviamente, non piace a nessuno. Ma sarebbe sbagliato identificare nel pachiderma burocratico un non meglio precisato nemico (la Merkel? La Bce? I francesi? I tedeschi) e non il campo di battaglia. Fare quindi di necessità virtù. Per usare un paragone calcistico: non si scende sul terreno pesante con lo scarpino da tredici, ma con i tacchetti di ferro. Nel suo libro Il Mito dell’Europa, in un capitolo dal titolo inequivocabile – L’alternativa all’Europa è l’Europa – Gabriele Adinolfi scrive: “Rivoluzionare l’Europa si deve, ma difendendo ogni tendenza centripeta e incoraggiando qualsiasi progressione di potenza di quella materia su cui s’intende agire affinché recuperi la forma”.
Superare l’Europa attuale significa, per dirla con le parole dell’Istituto Eneide, creare una “comunità di destino di tutti i popoli europei. Si tratta però di un’alternativa concreta, di un’idea operativa, che va incardinata nel presente, facendo esplodere le contraddizioni e liberando energie latenti che già ardono sotto la cenere”.
L’Istituto Eneide: genio e bellezza, tecnica e identità
Sottolineava Adriano Romualdi nell’ormai lontano 1972: l’impegno “più sacro è quello di restare la coscienza dell’Europa. La coscienza che nessun ‘benessere’, nessun pacifismo può comprare. Essa è qui per ricordare agli europei la miseria e i pericoli dell’ora presente. Ma anche per indicare loro la meta alla quale essi devono tendere e che si chiama unità e indipendenza dell’Europa”.
Una “specifica forma mentale europea” – libera, comunitaria, responsabile, etica, audace ed estetica – destinata, secondo il manifesto, a produrre ancora una volta storia al cospetto del mondo. Dal Genio alla bellezza, da intendersi come orizzonte. “Dalle pitture rupestri alle statue greche, dai dipinti del Rinascimento ai progetti visionari del razionalismo architettonico novecentesco, gli europei hanno sempre mantenuto un approccio estetico al mondo”.
Una sensibilità da riaffermare “contro tutti i nemici del bello, siano essi oscurantisti religiosi o fanatici progressisti della cancellazione”. Anche per quanto riguarda la tecnica, con le sue “opportunità feconde” i suoi “pericoli esistenziali”, da affrontare e padroneggiare. Questo perché “uno dei frutti più preziosi della millenaria civiltà europea è l’avventura pratica e teorica della tecnoscienza, la sua «mobilitazione del mondo» incessante”.
Senza colpevolizzazioni né nostalgismi
Lontano anni luce tanto da ogni colpevolizzazione quanto da ogni nostalgismo verso il proprio passato (non fardello, ma slancio), l’Istituto Eneide rifiuta anche quel processo alienante proprio di chi adotta “categorie culturali e spirituali estranee a questo universo mentale” europeo. Pur riconoscendo “la stratificazione della storia e le complesse genealogie che innervano la nostra identità, passando anche per contaminazioni con l’altro da sé”. Si reclama un solo diritto, quello di rimanere e diventare sé stessi.
L’identità – infatti – non può ridursi a concetto astratto e avulso dal proprio contesto. È piuttosto quell’unione tra popolo, terra e spirito (nesso di civiltà) messo oggi in pericolo dalle grandi sostituzioni. Urge quindi “ridare agli europei il senso dell’appartenenza a una civiltà, della continuità tra le generazioni, del radicamento su una terra, della proiezione di sé nel futuro”. Essere non sostituibili.
Nella visione “solare, propositiva, affermativa, intrisa di ottimismo tragico” dell’Istituto Eneide c’è solo l’avanti. Un continente sovrano, armato, conscio della propria missione e protagonista di una rigenerazione della storia. Oltre la fine della notte occidentale, l’Europa rimane “l’unica grande idea rivoluzionaria del terzo millennio”.
Marco Battistini