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Angelo Gatti: dalla Grande Guerra ad accademico d’Italia

by La Redazione
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Roma, 14 giu – Nel 1929 Benito Mussolini istituì l’Accademia d’Italia. Ne facevano parte illustri letterati e studiosi delle varie discipline che avevano onorato la nazione. L’Accademia d’Italia aveva sede a Roma in un palazzo della Farnesina, i membri godevano del titolo di “Eccellenza” e di un appannaggio di tremila lire, oltre ad altri benefici. Le categorie in cui erano divisi gli accademici erano quattro: Lettere, Arti, Scienze storiche e morali, Scienze positive. Mussolini avrebbe voluto come presidente dell’Accademia, Gabriele d’Annunzio, ma questi non accettò. Al suo posto fu nominato Guglielmo Marconi. Tra i letterati c’erano Luigi Pirandello, Alfredo Panzini, Marinetti e Massimo Bontempelli. Tra coloro che entrarono nella prestigiosa Accademia ci fu, nel 1937, anche il generale Angelo Gatti.

Il generale scrittore

In uno dei suoi libri, Ancoraggi alle rive del tempo, Angelo Gatti disserta sull’amore per la letteratura che l’ha conquistato, lui che fu un combattente della Grande Guerra e arrivò a diventare generale. Ogni persona vive una parte della vita da solitario e i sogni dolci l’accompagnano nel suo percorso. La vita ci porta a vivere bei momenti in cui i libri sono i nostri veri maestri. E’ un pensiero che traspare da alcuni passaggi del volume: “Pochi piaceri sono più vivi del ritrovarsi in biblioteca, dopo una giornata trascorsa fra gli uomini: Niccolò Macchiavelli sapeva scegliere il proprio godimento. Specialmente se le vicende del giorno sono state dure, e il tempo è freddo e brumoso, quell’ora tra i libri rinfranca e deterge. Non so immaginare una casa senza biblioteca anche piccola, oggi che tutte hanno la loro stanza o stanzetta da bagno. Luogo di miracoli la biblioteca; e a me, quando ci entro, e  come in queste sere accendo il lume, e tutti i libri improvvisamente occhieggiano dalle rilegature variopinte, sembra che cadano il tempo e lo spazio, ed io viaggio per l’aria, come il principe delle Mille e una notte”.

Angelo Gatti nacque a Capua il 9 gennaio 1875 e morì a Milano il 19 giugno 1948. Con la sua opera ha dato molto alla cultura italiana, anche se adesso è da considerarsi un dimenticato. I suoi libri non godono dell’attenzione del pubblico. Dopo la morte della moglie, nel 1927, in seguito ad una crisi spirituale, la sua vena letteraria muta e si avvicina alla narrativa. Nel libro Uomini e folle rappresentative volle inserire la storia di un aviatore austriaco che, piuttosto che ritornare nella propria patria sconfitto, preferisce morire sotto il fuoco nemico. In un altro, La terra, racchiude molti racconti in cui ci si immerge nel mondo rurale di un tempo. Tra questi il racconto I due poveri narra della vita di un vecchio dedito al lavoro della terra che, ormai giunto verso la fine della propria vita, un giorno é visitato da un viandante con il quale stabilisce un confronto costruttivo e pieno di riflessioni che lo allietano in vista del vicino declino. Scrive Angelo Gatti all’inizio del racconto: “Nel crepuscolo della lunga giornata d’agosto, la stanchezza s’allargava sulla campagna. Una gran fatica spossava la terra. Giuseppe, il vecchione, tornava a casa. Aveva lavorato dall’alba, e la vigna di S. Bartolomeo, unico suo podere, distava molto dal paese. Alto e tutto ossa, scamiciato, il vecchio andava per i sentieri e poi sulla strada comunale, rullando e beccheggiando come un vecchio battello. (…) il vecchio, parlando tra sé, alzava le braccia, e pareva ingigantire; poi spariva con la strada nelle valli. Una specie di fischio vi accompagnava i passi: era il suo respiro”.

Nel libro di Angelo Gatti ritroviamo l’amore che le persone di un tempo avevano per la terra. Un mondo contadino povero ma ricco di solitudine e introspezione che viveva ancorato nelle sue profonde convinzioni e protetto dai suoi saldi principi. Un dialogo tra un anziano e un viandante mette in evidenza questo aspetto: “Eppure siete solo”. “Ve l’ho detto: mi piace vivere indipendente. Ho voglia di mangiare, mangio, di star zitto, sto zitto, di dormire, dormo; nessuno mi dà noia e io non annoio nessuno”. “Ma se un giorno vi sentite male? Se, per esempio, quando siete qui solo, nel mezzo della notte…” “Volete dire se muoio?“ “Non questo, ma insomma…“ “Dite, dite pure. Se muoio non c’è altro da fare o da dire. Mi prendano o mi portino al camposanto, o mi gettino giù per le rupe. Per me è lo stesso”. “Come, lo stesso? Non credete che ci sia un’altra vita? Che ci sia un paradiso?” “Se ci saranno li rivedrò”. “Davvero, – chiese stupito il camminante, – “Davvero non credete che ci siano? Che il Signore vi ricompensi dei dolori e delle fatiche di questa terra?” “Anche lui, se ci sarà, lo vedrò”. “ Ma allora,” Domandò dopo un breve silenzio l’altro, “perché avete lavorato e penato tanto?” “ Che cosa dovevo fare? Rubare? ammazzare?” “Perché dite ammazzare? C’è bisogno di venire fuori con queste balordaggini? Dico, che non capisco come abbiate potuto vivere così da miserabile, senza far male, se non avete paura dell’inferno”. Giuseppe aprì la bocca sdentata a un accenno di sorriso, e rispose semplicemente: “Così”.

Angelo Gatti ha un cuore vero e nobile capace di incantare anche quelli che non condividono i suoi ideali perché descrive la semplicità di un mondo che era legato umanamente e spiritualmente alla terra. Probabilmente aveva compreso anche cosa sarebbe successo ad una nazione dove la secolarizzazione, l’industrializzazione, il vivere frenetico, l’essere sempre in corsa avrebbero portato allo scadimento dei veri valori: la fede, la famiglia, la patria e la tutela dell’ambiente. L’uomo d’oggi non corre, purtroppo, per raggiungere un futuro migliore. Nel libro Ancoraggi alle rive del tempo parla anche della vita di Mussolini e lo fa in modo garbato, non toccando la politica, ma descrivendo l’uomo. “In un borgo, quasi in un cascinale di questa terra ardente e ardita, nacque Benito Mussolini. Gran cosa per un uomo aprire gli occhi dove fra suolo e creatura non si frappone la città, invenzione posteriore e fittizia. Tutto nella campagna acquista forma precisa ed ha rilievo giusto e proporzionato. Ecco, questa è la famiglia, e questo il focolare; di qui comincia il mondo. Dalla comunione continua, di tutti i giorni, di tutte le ore, nel lavoro, nel riposo, nella poca festa, nella preghiera, sgorga il sentimento della perpetuità della stirpe; non per ragionamento, ma per fede e certezza. Questa è la madre e questa è la sposa, e questi sono i figli; più in là, stanno la chiesa e il cimitero, dove i vecchi dormono e, sempre sotto gli occhi, sono sempre presenti”.

Emilio Del Bel Belluz

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