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Capitan Harlock e il mito eterno dell’arcadia della nostra giovinezza

by Roberto Johnny Bresso
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Roma, 02 ago – Il 9 aprile del 1979 su Rai 2 veniva trasmessa per la prima volta in Italia la serie anime di Capitan Harlock. Ero solo un bambino e me ne innamorai perdutamente, tanto da farmi regalare dai miei genitori magliette e gadget vari. Il Capitano divenne immediatamente il mio idolo assoluto, anche se a quattro anni non ne potevo certo comprendere i complessi sotto testi. Eppure anche adesso, a distanza di quarantacinque anni ed alla soglia del mezzo secolo di vita, posso affermare che Harlock per me e tanti della mia generazione resti uno dei punti di riferimento culturali. Andiamo quindi a capire come si sia sviluppato questo mito immortale.

Pace e indifferenza

Come quasi sempre nella cultura giapponese tutto nasce da un manga. Tra il 1977 ed il 1979 il leggendario Leiji Matsumoto (scomparso lo scorso anno) scrisse ed illustrò l’opera omonima. Siamo nel 2977 e la Terra è governata dal Governo Unificato. Il pianeta è in assoluta pace, ma i suoi abitanti sono caratterizzati da una totale e perenne indifferenza nei confronti di tutto ciò che accade. Le macchine hanno sostituito gli uomini nei lavori più comuni e chi si ribella allo stato delle cose viene considerato un fuorilegge. Come appunto Capitan Harlock (un ex militare divenuto pirata) e la sua ciurma dell’astronave Arcadia, sulla quale è impresso il Jolly Roger, la bandiera pirata per eccellenza.

Questa apatia dei terrestri non viene minimamente scalfita nemmeno quando le profughe provenienti dal pianeta Mazone tentano di conquistare il nostro pianeta. Harlock si troverà così a combattere le Mazoniane per salvare un pianeta che non lo vuole e, a sua volta, tenta di catturarlo. In un toccante ed aperto finale Harlock ha la meglio e si separa dal suo equipaggio, al quale permette di rifarsi una vita sulla Terra. Lui ritorna nello spazio aperto in cerca di nuove avventure.

Capitan Harlock, un uomo fedele a se stesso

Tra il 1978 ed il 1979, stante il grande successo del manga, in Giappone venne realizzata una serie anime composta da 42 episodi. Ripropone fedelmente la storia, aggiungendo però alcuni personaggi ex novo. L’universo di Capitan Harlock poi si espanderà anche in altre serie, tra cui la celebre Galaxy Express 999 e diversi lungometraggi, tra i quali segnaliamo Capitan Harlock: L’Arcadia della mia giovinezza del 1982 e l’ultimo in ordine di tempo, Capitan Harlock del 2013.

Ma quale è il segreto di un successo così duraturo, capace affascinare bambini, ragazzi ed adulti? Sicuramente grosso merito risiede nella figura di Harlock, che in realtà Matsumoto aveva già introdotto a partire dal 1972 nel manga a tema western Gun Frontier. Lì Harlock era un capitano di nave divenuto pistolero, ma le caratteristiche fisiche e psicologiche erano le medesime. Noi amiamo di fatto il Capitano perché è un uomo tutto d’un pezzo, fedele a se stesso, alla sua parola e alla sua gente, non incline al benché minimo compromesso. Sa essere spietato, ma, essendo anche uomo d’intelletto, conosce i limiti dell’uso della violenza. Nel combattere le Mazoniane infatti non trae il minimo piacere. Ma ciò non di meno lo fa fino alla totale distruzione del nemico, perché sa che è giusto difendere un pianeta, anche se è ormai governato da gente che lo odia profondamente.

“La mia bandiera è un simbolo di libertà”

Il fascino profondo dell’opera poi risiede nell’intuizione dell’autore nipponico nell’aver compreso i limiti della modernità. E i rischi di una società nella quale l’apparente uguaglianza tra gli esseri umani ha fatto sì che in realtà tutto venga appiattito. Le menti più brillanti finiscono invece per essere etichettate come devianti.

Concludiamo citando anche il fatto che al successo italiano di Harlock contribuì anche l’iconica canzone della sigla iniziale, scritta da Luigi Albertelli, musicata da Vince Tempera e cantata da La banda dei bucanieri.

“L’universo è la mia casa… la voce sommessa di questo mare infinito mi invoca e mi invita a vivere senza catene… la mia bandiera è un simbolo di libertà”.

Roberto Johnny Bresso

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