Roma, 29 feb – Non solo soldati, non solo guerrieri ma anche scrittori, uomini d’arte, imprenditori e politici hanno combattuto per la gloria, per l’unificazione e per l’esistenza stessa dell’Italia. Come già detto, anche molti artisti imbracciarono il fucile per la causa italiana. Uno di questi, Filippo Liardo, divenne famoso come ritrattista per le principesse di corte.
Il pittore garibaldino
Nato a Catania il 1° maggio 1834, Filippo Liardo si trasferì molto giovane a Palermo dove entrò in contatto con Salvatore Lo Forte. Quest’ultimo è uno dei più famosi ritrattisti e pittori del Risorgimento, autore di molte opere ritraenti Garibaldi. In particolare, imparò ad apprezzare e conoscere lo stile romantico del suo mentore e lo riportò anche nelle sue composizioni successive. Liardo, però, era anche un fervente nazionalista e, quando seppe dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia, vi si unì, pronto a combattere per la liberazione dell’isola e del sud Italia.
L’impegno di Filippo Liardo si esaurì a Napoli quando, una volta liberata la città, il giovane decise di stabilirsi ivi per poter studiare alla locale Accademia. Rivestì la divisa solo nel 1866 per seguire Garibaldi in Trentino. Durante questa campagna eseguì dei magistrali disegni, ritratti ed opere rappresentati persone, soldati ed eventi di quella campagna.
“Sepoltura garibaldina”
Filippo Liardo morirà a Parigi il 19 febbraio 1917 in povertà e solitudine. Tuttavia, non tutti, forse, conoscono la sua opera più importante: Sepoltura garibaldina. L’opera del 1862 venne esposta a Parigi ed è una meravigliosa rappresentazione di quella che fu la presa di Palermo. Due ragazze, una in veste monacale, una di alta estrazione sociale, piangono davanti alla tomba nera di un garibaldino riconoscibile dal tipico cappello posato sopra la cassa.
Al di fuori della finestra sventola il tricolore italiano ripreso anche dai colori delle maniche e dei fiori nella mano della ragazza in primo piano. Un’opera pregna di quel romanticismo verista e di quel simbolismo tipico del Risorgimento. Un’opera dimenticata ma assolutamente degna di ricordo.
Tommaso Lunardi