Home » “La gloria” di Aurelio Picca: dove gli sportivi diventano dittatori di sé stessi

“La gloria” di Aurelio Picca: dove gli sportivi diventano dittatori di sé stessi

by Lorenzo Cafarchio
0 commento

Milano, 16 dic – Che cos’è la gloria? Chiedilo a Chinaglia, al gancio sinistro di Benvenuti e al suo avversario Monzón che uccise senza posa la sua sposa. Al sangue, sangue, saluto degli ultrà che non chinano il capo al lustro del passato. Ci siamo chiesti tutti, partendo da Giuseppe Berto, quale sia il sapore, stramaledetto e sudato, della magnificenza. Delle braccia alzate sul traguardo, della segnatura che vale uno scudetto, del cazzotto da kappao, del freno schiacciato un po’ più tardi degli altri davanti a una curva vestita da mondiale. Lo sport è la leggenda di quest’epoca, muove le masse, tiene incollati al monitor miliardi di appassionati, lascia all’addiaccio o al solleone ultrà di mezzo mondo, l’altra metà è insensibile al richiamo della gloria.

Mani pesanti e piedi fatati

La gloria (192 pp.; 17,00€) è Aurelio Picca che ci parla dal ventre del ricordo tirando in ballo, innanzitutto, la decade ‘70. Andiamo per gradi. Il volume è inserito nella nuova collana, i Colibrì, inaugurata dai tipi di Baldini+Castoldi per raccontare il gioco attraverso la commistione con le parole. Ci sono immagini, vivide, in questo libro. Tanto forti, in alcuni tratti, da affacciarsi al campo del mito. Non tireremo in causa Sorel, Jünger e la trascendenza europea, ma in alcuni gesti la tentazione è forte. Come davanti “a John McEnroe, che distruggeva racchette per vietare al tennis di trasformarsi in gioco onanista”. O ancora alla corte di “Novak Djokovic che, in ginocchio, si segna il petto con la Croce”. I primi incontri hanno l’odore acre del sudore. Di quei palestroni del dopoguerra italiano dove giovani che non hanno vissuto la guerra cercano la propria personale lotta prima con un sacco, poi in con uno sparring partner e infine tra le corde della vita.

Mani pesanti, mani veloci, tronchi che accompagnano i gesti, piedi fatati che segnano il destino di pugili e pugilatori. “Questi ragazzi sono dittatori di sé stessi, proprietari di un tic. Il testardo mutismo è il percorso della loro caccia al tesoro”. C’è tutto il racconto della Lazio 1973-1974 quella del primo tricolore, quella delle pistole, ma soprattutto di lui. Giorgio Chinaglia. Da Carrara. Quello che dichiarava simpatia per Giorgio Almirante, quello che mandò affanculo, pantagruelico, Valcareggi ai mondiali del ‘74. E veniteci a dire, ora con la solita retorica, della compostezza del passato e dei modi cordiali dei tempi che furono. Qui c’è un legame Roma(città)-Picca-Lazio che è tutto da scoprire. Giocatori, gesti, inchiostro. Un fiume in piena. C’è la confessione. “Non amavo fare gol. Il gol è la fine del piacere; è un gesto narcisistico che chiude il sogno. Quindi amavo passare la palla. Mi applicavo nell’ultimo passaggio”.

“La gloria”, un viaggio nel corpo della patria

E qui Picca diventa Eric Cantona nella pellicola Il mio amico Eric. Il momento più bello di tutti? Non una rete, ma un’assistenza. Quella del francese a Irwin contro gli Spurs. Un tributo all’onnipotente del pallone. Le pagine corrono come correva Marcello Fiasconaro. 400, 800 metri di libertà che diventano 100 assieme a Pietro Mennea. Poi nuovamente un intervento sulla sfera assieme a Franco Baresi che diventa “una sorta di capitano di ventura: fiero quanto Cesare Borgia; elegante come Sigismondo Malatesta Signore di Rimini; implacabile al pari di Federico da Montefeltro”. C’è l’occasione di un giro di pista con Gilles Villeneuve e Ayrton Senna per perdersi nel Giro d’Italia che “è un viaggio nel corpo della patria”. Siamo nelle budella della nazione, nelle interiora anticamera dello splendore dove però solo i pochi sapranno ergersi.

La minuziosa descrizione delle lacrime di Roma il 7 novembre 1970 quando il suo figlio adottivo Nino Benvenuti perse il titolo da Carlos Monzón. “Il criminale l’ha rincorso freddo, gelido. Poi con il pugno destro ha sparato il colpo di pistola in piena faccia”. Fantasmagoriche visioni dove il fasto crolla al tappeto. I boxeur coprono gran parte delle pagine, ci sono anche quelli neri, ma “non Bianchi travestiti da Neri”. Cassius Clay spostati. Appaiono anche Primo Carnera – a proposito il brano Primo Carnera tratto dall’album Thori & Rocce di Don Joe e Dj Shablo merita l’ascolto. Sopratutto le barre di Duellz, un suggerimento per l’autore – Massafra e un ménage à trois splendore per l’ego egotico del pene. La gloria del resto aspetta tutta una vita che gli istanti le vengano sacrificati. Devozione, fiato rotto, giunture spezzate tenute unite proprio dall’attesa di quell’attimo che non sappiamo mai quando arriverà e se arriverà. Però restiamo lì finché ce n’è.

Lorenzo Cafarchio

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati