Roma, 27 feb – “Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor”, così Alessandro Manzoni raffigurava l’Italia in un suo celebre componimento. Ma proprio quella lingua sembra oggi correre il rischio di scomparire, almeno secondo il monito dell’Accademia della Crusca.
L’Accademia della Crusca contro l’Università di Bologna
Per una volta non sono schwa e asterischi a mettere in pericolo l’italiano, ma l’appiattimento alla lingua inglese. Un problema che diventa ancora più gravoso quando riguarda ciò che dovrebbe essere l’apice del percorso scolastico, ovvero l’Università. È il caso dell’Università di Bologna che nel suo distaccamento di Rimini ha deciso di sostituire il corso di Economia del turismo con uno interamente in lingue inglese. Decisione che il presidente dell’Accademia della Crusca Paolo D’Achille contesta duramente: “La progressiva eliminazione dell’italiano dall’insegnamento universitario (come pure dalla ricerca) in vista di un futuro monolinguismo inglese costituisce, come ha osservato anche la European Federation of National Institutions for Language, un grave rischio per la sopravvivenza dell’italiano come lingua di cultura, anzitutto, ma anche come lingua tout court, una volta privata di settori fondamentali come i linguaggi tecnici e settoriali”. D’Achille, il quale è anche professore ordinario di Linguistica Italiana al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Roma Tre, ha posto la questione al ministro della Ricerca e dell’Università Annamaria Bernini e al rettore dell’Università di Bologna Giovanni Molari, mandando loro una lettera aperta.
“Possibile che in questo quadro la lingua italiana sia tagliata del tutto fuori?”
L’Accademia della Crusca interviene “nella sua veste di istituto statale che ha tra i propri compiti istituzionali quello di promuovere e tutelare lo studio della lingua italiana”, dopo aver ricevuto diverse segnalazioni contro la decisione dell’ateneo. Così D’Achille si chiede: “Il corso in inglese è un corso triennale e tra gli obiettivi di tutti i corsi di laurea triennale, di qualunque classe, figura, per legge, quello che chi consegue il titolo abbia un pieno possesso dell’italiano; come può essere assicurato questo obiettivo da un corso ‘la cui didattica si svolgerà interamente in lingua inglese’, come è specificato sul sito dell’Alma Mater?”. E spiega: “Esiste una esplicita sentenza della Corte costituzionale che, pur ammettendo e anzi promuovendo la didattica in inglese, richiede espressamente che la lingua italiana non venga estromessa del tutto da ogni corso di studi, tanto che anche il Politecnico di Milano, che prevedeva corsi (peraltro magistrali e non triennali) interamente in inglese, ha tenuto almeno parzialmente conto di tale sentenza inserendo qualche insegnamento (pur se secondario e/o opzionale) in italiano. Come è possibile che tale sentenza venga ignorata?”. Oltre all’aspetto prettamente tecnico, il presidente della Crusca pone una questione più di contenuto, se infatti l’oggetto del corso è il turismo e quindi i beni culturali questi ultimi sono indissolubilmente legati all’identità italiana e alla nostra lingua: “Economia del turismo nella dismessa intitolazione italiana, Economics of Tourism and Cities in quello inglese, parla di turismo ed è verosimile pensare che ci si riferisca a quello che ha per oggetto l’Italia, le sue città, il suo incomparabile patrimonio di beni naturali, artistici, archeologici, storici e culturali. Possibile che in questo quadro la lingua italiana sia tagliata del tutto fuori? Ma i nomi delle città, degli artisti, delle opere, dei musei, non sono ancora in italiano? ”
Michele Iozzino