Roma, 2 giu – Nei primi giorni di giugno del 1946 i nostri connazionali, usciti sconfitti dal secondo conflitto mondiale, furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia. Il referendum, oltre a sancire la fine del regno, coincise anche con l’ultima apparizione istituzionale dell’Italia turrita. Personificazione dello stivale allora contrapposta sulla scheda elettorale allo scudo di casa Savoia. Ma al di là di faccende democratiche e sabaude, la “bellissima donna” rimane un simbolo nazionale da riscoprire. E – ovviamente – rinnovare.
Una storia lunga (almeno) due millenni
Facciamo un passo indietro, a ben prima dell’avvento degli stati-nazione. Tra le Alpi e il Mediterraneo si combatte la guerra marsica. Dal 91 a.C lo Stato Romano fronteggia una lega di popoli italici. L’odierna Corfinio (siamo in Abruzzo, provincia dell’Aquila) è la capitale di queste genti. Qui, durante il conflitto, viene coniato un denarius che affianca il termine Italia a un viso femminile coronato. Risposta – politica e simbolica – alla Dea Roma, già presente sulle monete degli avversari.
La corona muraria deriva invece dal culto di Cibele, divinità anatolica della fertilità fatta propria dai romani durante le guerre puniche. La prima raffigurazione della turrita si deve quindi a Traiano (arco di Benevento, siamo già nel secondo secolo d.C.), immagine che tornerà su moneta con Adriano. Dimenticata dopo la caduta dell’impero romano, la personificazione italica viene recuperata e riletta da Dante. “Non donna di province, ma bordello” la sentenza dell’Alighieri rispetto al glorioso passato. Eccoci al Petrarca, il quale rende ancora più intenso il concetto nel Canzoniere, descrivendola come tormentata da “piaghe mortali”.
Un’idea sempre al passo coi tempi
Il Risorgimento – e i suoi moti unitari – ridanno smalto a questa iconografia. Prigioniera oppure in armi. L’idea di Italia turrita infatti, oltre a ritornare ciclicamente, è riuscita nel corso dei secoli a spiegare al meglio lo spirito dei vari passaggi storici. Emblema originario ma sempre al passo coi tempi. Adornata, ad esempio, con spighe di grano – fertilità – o al contrario nell’atto di brandire una spada. E ancora insieme al fascio littorio, ovviamente durante l’esperienza fascista. Particolarmente importante, in tal senso, l’associazione con la stella d’Italia. Primo simbolo patrio, fin dall’antichità il candido astro ha rappresentato – tramite Venere – la nostra penisola e il suo lucente destino.
Al termine della suddetta guerra civile tra romani e lega italica venne emessa una moneta di pace. Sul denario la Dea Roma e l’Italia, personificata in posizione amichevole. Rispettivamente con giavellotto e cornucopia, in una benaugurante allegoria che ben spiega la futura centralità militare, economica e produttiva.
L’Italia turrita (e stellata) nel ventunesimo secolo
Nuovi destini tra popoli affini, magari fino a poco prima belligeranti. Un po’ – fatte le dovute proporzioni – come oggi, con le sfide attuali che ci impongono una serie di ragionamenti al tempo presente (e non in un’ottica di passato prossimo). Crisi post Covid, catene di approvvigionamento, guerra in Ucraina, situazioni mediorientali, la partita del nucleare, quella sull’intelligenza artificiale. Il pittore tedesco Overbeck – autore dell’opera Italia und Germania – considerava queste terre come guaritrici del mondo. Serve, ancora una volta, una nuova incarnazione di principi inalienabili. Una nuova Italia: turrita e stellata, romana e prometeica, mediterranea ed europea.
Marco Battistini