Questo estratto del saggio, pubblicato per gentile concessione dell’editore, è contenuto nel libro «Yukio Mishima – Infinito Samurai» edito da Idrovolante Edizioni. [IPN]
Roma, 25 nov – 25 novembre 1970: Yukio Mishima, insieme a quattro membri del suo Tatenokai, prende il controllo di una base militare comandata dal generale Mashita. Lo stesso generale viene preso in ostaggio, e Mishima si affaccia dal balcone del palazzo della base. È fiero, ritto in cima a quella che è per lui una postazione di un esercito asservito a un occupante, gli Stati Uniti d’America. Mishima guarda giù, verso gli uomini della fanteria e, di fronte alle decine di televisioni e giornalisti accorsi, inizia quella che sarà la sua ultima arringa.
Lo Yukoku
Un fiume di pensieri si fa voce, servendosi delle parole di un uomo il quale, per tutto il corso della sua breve vita, ha dedicato tutto alla propria terra. Ma forse, per citare proprio Yukio stesso, «una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, non è altro che un fragile vetro». Ed è proprio così, che il quarantacinquenne poeta nazionalista discorre di fronte a media, militari e seguaci: è lo Yukoku, il patriottismo (titolo anche di una delle sue pellicole). La critica è rivolta a capitalisti angloamericani e ai bolscevichi: il controllo civile riguarda solo l’amministrazione finanziaria dell’esercito. Inglesi e americani hanno costruito un sistema basato sull’economia speculativa, non esiste alcuna possibilità che la nazione sia un’entità metafisica come la intendeva Giovanni Gentile.
I bolscevichi hanno invece fondato rivoluzioni sull’idea che lo spirito non conti nulla di fronte alla materia, che gli uomini siano mossi più da necessità economiche e pratiche più che da ideali, un ammasso di automi senza ideali o passioni, tantomeno sentimenti identitari. «Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciar morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita?», le prime parole di Mishima. Mishima esalta lo spirito ribelle della vita, nega l’idea che essa debba essere vissuta con la paura di subire quello che accadrà, in un modo o nell’altro. Peraltro, è stato dai più descritto come il d’Annunzio giapponese, di gran lunga colui che si avvicinò di più agli ideali del poeta pescarese.
Mishima: l’esistenza di un valore superiore alla vita
«Ora – prosegue Mishima – testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà, non è la democrazia, è il Giappone! È il Giappone, paese della storia e delle tradizioni che amiamo. Abbiamo intrapreso questa azione spinti dall’ardente desiderio che voi, che avete uno spirito puro, possiate tornare ad essere veri uomini, veri samurai». Il signore è sconfitto, i samurai ora devono onorarlo e immolarsi. Mishima sceglie il martirio, l’eroismo, al sottostare ad un dominio estraneo. «L’idea di dover morire fa sì che ci affanniamo per trovare uno scopo all’esistenza… eliminata quell’idea, anche l’affanno scompare», per citare Dylan Dog.
Irriducibilità: noi siamo esseri mossi dallo spirito, l’uomo trova nei suoi ideali e nelle sue passioni la motivazione per vivere. Non dimentichiamo che il Tatenokai è una milizia composta, prima di tutto, da giovani. Studenti, principalmente, dalle varie scuole ed università del Giappone, di cui Mishima esalta l’età dichiarandoli lo Scudo dell’imperatore. «Il battito del cuore si comunicava al gruppo: condividevamo lo stesso polso rapido. L’autoconsapevolezza era ormai lontana quanto il remoto rumore della città. Io appartenevo a loro, loro appartenevano a me: insieme si formava un inequivocabile “noi”. Appartenere; potrebbe esserci una forma di esistenza più intensa?»
Tienti alla terra
Appartenere a una comunità è quanto ciò di più importante possa esserci in un gruppo militante identitario. Appartenere a una comunità capace di misurarsi con l’azione e la vita del guerriero, comprendendone la bellezza più degli altri. Mishima per questi motivi è un autore molto citato e approfondito nei testi di formazione militante nelle comunità identitaria: i valori cardine che vengono trasmessi sono appunto la lealtà, l’eroismo, lo spiritualismo, l’azione, l’abnegazione. Ridurlo a «poeta reazionario decadente dalla sbandata nazionalista» è, per quanto semplice, comoda e rassicurante, una lettura ingenua. La vita e l’opera di Yukio Mishima si sottraggono alla semplice etichettatura.
Ed è proprio il recentemente riscoperto motto «Tienti alla terra» di Gabriele d’Annunzio a collegarsi nella maniera migliore alla lotta per la libertà del popolo giapponese che Mishima rilancia col suo suicidio. Perché per i popoli che la terra la perdono, perché occupata o resa vassalla di una potenza dominante, l’idea che la Patria sia tutto vale molto di più, in ogni suo aspetto. Mishima fu l’esempio di avanguardia spirituale che spinse, quasi quarant’anni dopo, lo scrittore Dominique Venner a compiere un’altra sorta di omicidio rituale, ma nella cattedrale di Notre Dame a Parigi, uno dei simboli dell’Europa, con l’obbiettivo di risvegliare le coscienze di tutti quei giovani europei fino ad allora succubi della decadenza del vecchio continente, per ricreare un Mondo Nuovo.
Patrizio Podestà