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«L’Istria è il mio sole, le foibe il mio buio»: parla Nino Benvenuti

by Fabrizio Vincenti
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Nino Benvenuti

In un Paese vagamente normale – quello spesso invocato da chi, poi, nella pratica politica quotidiana, ha ben poco di normale – sarebbe senatore a vita da un pezzo. Giovanni Benvenuti, per tutti Nino, è un pezzo di carne viva dell’Italia. Sportivo di levatura mondiale; testimone dell’esodo dei tanti istriani alla fine di una guerra drammaticamente persa; campione di umanità, ottimismo e dirittura morale, Benvenuti è un simbolo che resiste al tempo e sfocia nel mito di un’Italia che non si è mai arresa, fosse su un ring o nella vita.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2022

La sua carriera pugilistica comincia a tredici anni, in una piccola palestra situata a Isola d’Istria, spinto dalla passione di suo padre. Disputa 90 incontri, 82 dei quali vinti, e negli anni Sessanta raccoglie un oro olimpico, un titolo italiano dei pesi medi, un titolo europeo nella stessa categoria, il doppio titolo mondiale fra il 1967 e il 1970 e una parentesi come campione mondiale superwelter nel 1966. Insieme a Marcel Cerdan, Emile Griffith e Carlos Monzón è l’unico non nativo americano ad aver conquistato e difeso più volte il titolo mondiale dei pesi medi nella storia del pugilato mondiale.

Ma accanto a una fantastica carriera, Nino Benvenuti è un simbolo dell’esodo dei fratelli della frontiera orientale, un esodo vissuto tra lutti e umiliazioni, tra rimozioni e negazioni che continuano a ferire chi ha abbandonato la sua casa, la sua terra italiana proprio perché ha ostinatamente voluto essere italiano. Il Giorno del Ricordo di tanti anni fa lo abbiamo visto a Roma, a una fiaccolata silenziosa sotto il Colosseo per non dimenticare, per tenere alta la luce di una terra martoriata. Per non arrendersi. Mai.

Intervista a Nino Benvenuti

Siamo vicini al Giorno del Ricordo: cosa è per lei il ricordo dell’Istria dove è nato?

«L’Istria è da una parte la luce del sole che illuminava quella magica terra rossa; dall’altra il buio delle foibe e di quel massacro. A ogni buon conto, il ricordo che prevale è comunque quello nel mio Dna, della mia fanciullezza, dei toni e dei suoni di quel mare meraviglioso, il ruvido dello scoglio (soscojo) dal quale ci tuffavamo, con gli amici, e imparavamo a nuotare».

Le drammatiche vicende dell’Istria, della Dalmazia, di Fiume hanno vissuto una vera e propria rimozione storica da parte della stessa Italia: la ferita è stata in qualche modo sanata?

«Ferite come quelle non si sanano. La memoria le conserva nitide. Tenta, però, di scandirle in maniera meno pungente, meno feroce; cerca di annebbiarne il colore e l’odore acre del sangue. Portano con sé il bene e il male. Ed è giusto che restino dentro: non tanto per non dimenticare, quanto perché gli altri non dimentichino».

Si è sentito trattato come esule in patria? 

«Mai sono stato trattato come esule. Trieste mi accolse subito calorosamente. Forse per la rispettabilità che ci portavamo nel nostro albero genealogico: l’attività di commercio del pesce di mio padre, le nostre terre, l’onestà famigliare, insomma la nostra personale storia… Ero e sono sempre stato a casa. L’Italia è casa mia».

Eppure il Giorno del Ricordo e il martirio delle popolazioni del confine orientale sono continuamente messe in discussione da tentativi di revisione ideologica che sanno di comunismo 2.0. Come si deve tenere viva la memoria?

«Personalmente l’ho fatto attraverso due pubblicazioni: L’Isola che non c’è (ed. Eraclea, pref. Rino Tommasi), scritto insieme e Mauro Grimaldi, e Il mio esodo dall’Istria (ed. Ferrogallico), un fumetto pensato, soprattutto, per le giovani e giovanissime generazioni, le quali, più che non dimenticare (visto che non erano ancora nate), devono conoscere. Non c’è bisogno di metterci altro. Basta raccontarle, certe vicende; si presentano da sole, senza polemiche. Un elogio al popolo istriano, comunque, mi piacerebbe farlo: nato lavoratore, vissuto sempre nel rispetto dell’altro, non conosce l’offesa o la sopraffazione».

Nella sua Isola d’Istria, sono poco più del 3 per cento quelli che si dichiarano italiani. Eppure è una terra italiana da sempre: è come azzerata la memoria plurisecolare.

«Non saprei… perché adesso, io, non sono più lì. Quando vi tornai, qualche anno fa, non la trovai né scomparsa né vivente. Certamente, rispetto a quando ci vivevo, è un altro mondo. Un mondo che, in ogni caso, come e quando sarà, vorrò avere come ultima dimora».

Più di 50 anni fa ha avuto anche un breve contatto diretto con la politica, con il Msi, anche per difendere la sua gente: perché ha preferito non dare seguito a quella esperienza?

«Perché sono uno sportivo. E lo sport non…

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