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Perché Andor non c’entra nulla con l’antifascismo

by La Redazione
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Roma, 29 apr – Lo sappiamo, affrontare l’agguerrita fan base dello sterminato universo di Star Wars è sempre un terreno minato. Il potentissimo immaginario collettivo creato dal franchise nato dalla mente di George Lucas, dalla prima pellicola del 1977 ad oggi, è diventato un vero e proprio fenomeno culturale capace di influenzare milioni di persone. Per questo la critica riguardo ogni minimo prodotto targato Guerre Stellari si ritrova gettata in un campo di battaglia che non lascia scampo a nessuno. Contemporaneamente, data l’influenza planetaria della saga nella cultura di massa (seconda per incassi solamente al Marvel Cinematic Universe), l’uscita di ogni nuova creazione si scontra con i più disparati tentativi di appropriazione da parte di narrazioni faziose e quasi sempre aliene dal reale spirito dell’opera.

Ultima per tempo a subire questa operazione è stata la nuova stagione di Andor, uscita con i primi tre episodi su Disney+ lo scorso 23 aprile, la quale è stata subito incensata dalla solita retorica antifascista. Addirittura, per alcuni, la seconda stagione di Andor racconterebbe la banalità del fascismo” in una grande metafora sulla “svolta autoritaria dell’America di Trump. Ma è davvero così? Forse chi vuole mostrare un fantomatico parallelismo con la Resistenza antifascista figlia del 25 aprile non ha capito nulla delle avventure di Cassian Andor.

La lettura superficiale dei “buoni democratici”

Andor è la quarta serie televisiva ambientata nell’universo di Star Wars, nata come prequel del film spin-off Rogue One. Ideata da Tony Gilroy (mente, tra gli altri, di successi come L’avvocato del diavolo e la quadrilogia dedicata all’agente segreto Jason Bourne creato da Robert Ludlum), racconta l’avventura di Cassian Andor, prima contrabbandiere e poi spia della ribellione comparso per la prima volta come pilota dell’Alleanza Ribelle proprio nel film spin-off. La narrazione della serie si posiziona pochi anni prima della missione segreta per rubare i piani della Morte Nera narrata in Rogue One, durante gli anni della formazione dell’Alleanza che in seguito contrasterà l’Impero Galattico: a cavallo tra la trilogia prequel conclusa con la nascita dell’Impero e la formalizzazione della Ribellione con cui inizierà la trilogia originale.

La leva su cui si poggia l’interpretazione antifascista sarebbe proprio questo clima di ribellione contrario alla consolidazione capillare del potere dell’Impero. Seguendo questa lettura superficiale è facile quindi identificare i ribelli come i “democratici buoni” contro “i cattivi fascisti”. Ma ad una più attenta analisi si colgono evidenti incongruenze con questa visione “tradizionale” che, soprattutto in Andor, non si sposa per nulla con l’incredibile complessità del mondo Guerre Stellari.

Andor: ribellione come comunità, ritualità e patriottismo

L’Impero in ascesa nel mondo di Andor assomiglia maggiormente alle classiche distopie moderniste, globaliste e iper-controllate narrate da autori come Orwell, Huxley o anche P. K. Dick. Più che con un fascismo “storico”, il legame sarebbe con forme autoritarie liberaldemocratiche universalistiche: infatti il punto centrale di questo Impero è la cancellazione delle identità locali nei pianeti non ancora completamente assoggettati al mercantilismo spaziale (unico interesse degli imperiali). Una struttura fredda, asettica di omologazione culturale e di controllo capillare che trova più assonanze con la natura delle nostre democrazie odierne asservite al capitalismo più sfrenato che ad un sistema politico di potenza imperiale e comunitario legato ad un’idea ben precisa di civiltà.

La Ribellione in Andor nasce proprio in risposta a questo attacco all’identità. I ribelli lottano tutti per la difesa delle proprie tradizioni locali, della loro cultura identitaria e modo di vivere iscritto nei secoli. Non è un caso che i pianeti dove, nella prima stagione, hanno luogo scontri tra ribelli e imperiali (su tutti Ferrix e Aldhani) siano popolati da società tradizionali legate a sangue, suolo e riti ancestrali. Tutto il contrario rispetto ad un astratto liberalismo cosmopolita o democratico universalismo.

I mattoni della città

Gli episodi specifici che sottolineano questo legame con istanze identitarie e comunitarie si sprecano. Ad esempio, la toccante scena del funerale di Maarva Andor su Ferrix (che culminerà con degli scontri tra popolazione locale e imperiali) rappresenta a pieno una celebrazione rituale dagli spiccati accenti comunitari e identitari. Lo stesso discorso funebre recitato dall’ologramma di Maarva mostra come ogni morto su Ferrix diventi letteralmente “mattone della città”, simboleggiando il legame tra uomo, terra e comunità molto forte sul pianeta. Non c’è una lotta per “l’umanità” su Ferrix, il popolo si ribella mosso dal fervente patriottismo per la difesa della propria casa. Non ci sono astratti principi di libertà universale ma lotta e radicamento.

Un altro episodio cardine che mostra come questo Impero sia mosso solamente dalla volontà di sradicamento e cancellazione tipica del capitalismo globalista è quello della Festa Celeste dell’Occhio di Aldhani, un rito ancestrale legato all’osservazione di un evento cosmico. Il popolo di Aldhani, infatti, ha una tradizione agricolo-pastorale in simbiosi con i cicli naturali e le stelle che l’Impero, per interessi economici di mercato, vuole distruggere.

Tornando al presente con i primi tre episodi della seconda stagione, esiste chi addirittura costruisce un’articolata connessione tra i soldati ribelli nascosti e la “deportazione” degli immigrati irregolari senza documenti. Nonostante risulti incomprensibile la sovrapposizione tra dei militanti della ribellione che lottano per un’idea con delle persone che scappano dalla loro terra per non dover rimboccarsi le maniche nella sua ricostruzione. Mina-Rau, il luogo dove sono nascosti questi ribelli, è un pianeta agricolo all’estremità della galassia che ricorda molto più l’ambientazione del Rebel Moon di Zack Snyder che una nave ong nel Mediterraneo.

Per un’egemonia pop

Andor presenta quindi una ribellione che insorge partendo dalla terra, dal sangue e che si lega alla tradizione e alla comunità. Lo stesso Cassian è nativo di Kenari, un pianeta tribale molto connesso con le proprie radici comunitarie e identitarie che l’Impero ha voluto omologare sotto le leggi di mercato. La Ribellione è molto più identitaria e sociale rispetto al fantomatico “Impero-nazifascista” che poco ha a che fare con il fascismo storico.

Nonostante questo, non si può dire che le varie produzioni Star Wars abbiano sempre tenuto fede allo spirito originario. In particolare, l’era Disney, seguita all’acquisto di tutti i diritti della saga nel 2012, ha risentito dell’influsso politico liberal e progressista soprattutto durante l’ondata woke. La trilogia sequel è l’esempio lampante di questa opera forzata di inclusività, politically correct e altre follie. La Resistenza guidata da Leia Organa negli ultimi tre film è infatti globale e universale, quasi astratta e unita ad una libertà disincarnata completamente sradicata.

Non ci sono patrie da difendere o culture da innalzare, tutto è standardizzato e neutro: una guerra fintamente morale senza radici, senza eroi. Non è un caso che la narrazione inclusiva, Lgbtq-friendly, attenta al progressismo e alla decostruzione di miti tradizionali abbia registrato un completo flop commerciale oltre che l’odio degli appassionati (non ultima la serie The Alcolyte prontamente cancellata). Per questo motivo è facilmente spiegabile il successo ritrovato di Guerre Stellari attraverso serie come The Mandalorian o Andor, prodotti che rappresentano un profondo rigetto a tutta quanta la retorica precedente. Inutili sono quindi i tentativi di dipingere un ipotetico “antifascismo” in Andor (per The Mandalorian è effettivamente impossibile). Il ritorno dell’onore, del coraggio, del sacro e del mitico non può che essere difeso e riportato alle sue naturali radici.

Renato Vanacore

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