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Uomini contro maschi: amare, lottare e riprendersi Ettore

by Marco Battistini
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Roma, 29 dic – Che differenza c’è tra uomini e maschi? Sebbene in italiano i due termini possano sembrare sinonimi, la diversità era ben nota anche ai nostri antenati. Aner e vir, contrapposti ad antropos e homo: greci e romani usavano termini precisi per contraddistinguere la figura coraggiosa e virtuosa. Sulla specifica questione è recentemente intervenuto un veloce libretto edito da Passaggio al bosco. “Alla ricerca di Ettore” – il titolo dell’opera – “manuale per riscoprire l’eroismo (perduto) dei padri”.

Essere uomini

Cosa vuol dire quindi essere un uomo? Possiamo cominciare con una similitudine, prendendo in prestito qualche caratteristica della querciarobur in latino assume anche il significato di forza. Ovvero l’essere saldi, ben piantati a terra. Presupposti della capacità di saper superare anche le intemperie più forti. L’uomo per sua natura ama, quindi trova compimento nel confronto, nella lotta. Secondo lo scrittore britannico Gilbert K. Chesterton, penna apprezzata dallo stesso Mussolini, “un vero soldato non combatte perché ha di fronte a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha alle sue spalle qualcosa che ama”.

Parole che ci portano direttamente al “protagonista” del libro di Matteo Carnieletto. Ettore, figlio primogenito di Priamo, il re di Troia. Marito di Andromaca e padre di Astianatte, il principe trova la morte per mano di Achille: conscio della fine che lo aspetta, antepone il proprio dovere a tutto il resto. A quel buonsenso che oggi trabocca dalle labbra di tanti stolti. Il valoroso esempio si coprirà comunque di gloria: perché – citando Ovidio – “chi se non un soldato o un amante, sopporterà il freddo della notte, e la neve mista alla fitta pioggia?” E magari anche la sofferenza.

Da Ettore a… Mufasa

Amare e lottare, quasi mai per sé stessi, sovente per chi c’è ora (gli affetti) o per chi ci sarà dopo – in un più ampio senso comunitario. Il mito e la guerra, quante volte – si chiede l’autore del libro – i bambini (maschi) giocano simulando il conflitto? Bisognerebbe fare attenzione alla serietà con cui i più piccoli, immaginandosi all’avventura, affrontano il gioco. 

Parliamo di figli perché il volume è rivolto – in particolar modo – all’uomo che diventa genitore. A quella auctoritas latina che significa far crescere. Dalla carta alla pellicola, sempre a proposito di padri. È uscito in questi giorni nelle  sale cinematografiche il film “Mufasa”, al tempo stesso prequel e sequel de “Il Re Leone”. 

Al di là della trama (che a grandi linee ricorda la già conosciutissima storia di Simba) in quest’ultima produzione Disney troviamo la personificazione dell’uomo propriamente detto – Mufasa, appunto. Diventerà sovrano – come ricorda uno dei primi capitoli del libro: colui al quale gli altri affidano la propria esistenza – nello scontro con le varie tipologie di maschio.

Il mito e le sue forme inaspettate

Come Taka, il fratellastro “erede al trono” prima pavido, poi invidioso e infine incline al tradimento. O come Obasi, il re dell’ultimo branco di leoni fulvi. Eccessivamente pigro, irrigidito nel voler preservare a tutti i costi la linea di sangue, comprenderà l’inettitudine del figlio (Taka nel finale “diventerà” Scar) quando sarà troppo ormai tardi. È un re, ma non ne possiede le virtù. E che dire di Kiros, capo di enormi leoni bianchi? Lui – a differenza di Taka e Obasi – non disdegna la lotta. Accecato però dalla sete di vendetta è solamente bruto uso della forza.

Sono fiere feroci, ma – attenzione: spoiler – vince l’archetipo dell’uomo. Il mito continua a parlarci in forme sempre diverse e talvolta inaspettate. Basta saperlo ascoltare.

Marco Battistini 

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