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Willy il principe di Asgard: l’imbarazzante razzismo della nuova Marvel

by La Redazione
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marvel, razzismo

Roma, 3 lug – Chi è appassionato di fumetto americano sa che le “Big Two”, Marvel e DC, non navigano esattamente in buone acque. Fumetti scritti male e disegnati peggio, attivismo becero nelle storyline e personaggi massacrati hanno fatto sì che negli ultimi anni un singolo manga vendesse più di tutta la produzione americana. È incredibile, ma sembra che al pubblico piacciano di più le storie con protagonisti eroici che combattono demoni accompagnati da ragazze provocanti che tizi coi capelli buffi che si lamentano di fronte a una tisana di quanto faccia schifo essere bianchi. Incredibile, eh?

What If, così la Marvel genera un’ondata di scherno e indignazione

Gli americani però non sono esattamente veloci a cambiare idea, e la tendenza a brutalizzare una eredità di quasi un secolo pur di continuare a spingere la narrativa continua a crescere raggiungendo picchi imbarazzanti. È il caso della serie di What If su Miles Morales, che ha generato un’ondata di scherno e indignazione non solo per i (ormai pochissimi) lettori storici, ma anche e soprattutto fra i ceppi etnici e sociali che dovrebbe solleticare. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire di che si sta parlando.

Innanzitutto, cos’è un What If? Si tratta di storie ipotetiche in cui si analizza quello che sarebbe potuto succedere se un personaggio avesse preso una scelta diversa nella sua vita immaginaria. Ad esempio, se non fosse stato Peter Parker ad essere stato morso dal ragno radioattivo ma Gwen Stacy, o se Tony “Iron Man” Stark non avesse mai superato il suo problema di alcolismo. Possono essere interessanti, ma ovviamente lasciano il tempo che trovano.

Per quanto riguarda il soggetto in questione, Miles Morales è un ragazzo mezzo ispanico mezzo afroamericano che, nell’universo alternativo Ultimate, prende il posto di Peter Parker quando questo muore durante un cataclisma. Personaggio non esattamente odiato né amato dai fan, ha avuto il suo momento di gloria col film Spiderman: Into The Spiderverse ma come succede spesso a un successo su grande schermo non è seguito un simile apprezzamento su carta stampata. Ma la Marvel non ci sta, e quindi ecco tentare di far ingoiare a forza Miles a tutti con una serie di What If che lo vedono protagonista: e se Miles Morales fosse Wolverine? E se fosse Hulk? E se fosse vostra nonna?

Una Asgard interamente abitata da afroamericani

Una persona normale capirebbe al volo che per far funzionare un personaggio la strada giusta è approfondirlo e dargli una propria identità, non appiccicare la sua faccia sul corpo di un soggetto più famoso. Ma siamo molto, molto lontani dalla normalità. La cosa sarebbe caduta nel dimenticatoio come la maggior parte della spazzatura Marvel di oggi, ma il quarto capitolo di questa farsa è quando le cose si sono fatte davvero serie, con la versione Miles Morales di… Thor, il Dio del Tuono. Un giovane di Brooklyn si dimostra degno del martello e ne prende i poteri? Magari. Lo scrittore Yehudi Mercado reimmagina la storia con una Asgard interamente abitata da afroamericani.

 

Qualcuno potrebbe far notare che questo è un chiaro esempio di “appropriazione culturale”, ma ricordate che per la sinistra hollywoodiana (e pure gran parte della nostra) la cultura europea è di tutti e ci si può fare quello che si vuole. La mitologia norrena è stata creata dai bianchi? E chi l’ha mai detto? Se credi il contrario sei palesemente un razzista che deve essere rieducato. Ovviamente il discorso non è reversibile, prova anche solo a usare un termine o una pettinatura degli afroamericani e Twitter vorrà la tua testa. Mantieni un basso profilo, vergognati della tua cultura e cancella la tua identità: questo è il diktat dell’assolutamente inesistente politically correct.

E quindi come è questa Asgard abbronzata? Una schifezza. Tutto il Regno Dorato è rappresentato come il Bronx, sporco e pieno di graffiti (presenti anche su Mjolnnir). I personaggi parlano fra loro in slang da strada e il Principe di Asgard porta felpa con cappuccio e scarpe da ginnastica. Vero, da nessuna parte specificano che il suo cibo preferito è il pollo fritto e il cocomero, ma siamo lì.

Questa cosa può sembrare a noi bianchi un insieme di beceri stereotipi, ma saranno piaciuti agli afroamericani giusto? Nemmeno per sbaglio. Sono stati loro i più vocali sui social, riversando sulla Marvel un (giusto) fiume di insulti non gradendo affatto (inspiegabilmente) l’essere rappresentati come bestie incivili che persino con poteri divini renderebbero le città un porcile e chiamerebbero Odino “bro”.

La risposta dello scrittore è stata quella che ci si poteva aspettare: ha chiesto scusa tirando ovviamente in ballo le sue origini ebraico-messicane (perché nella gara a chi è più discriminato due etnie sono meglio di una) e dicendo che avrebbe dato il compenso in beneficenza. Tanta roba, visto che con quello che paga la Marvel forse sono giusto i soldi per una felpa. Con cappuccio, si intende.

Il razzismo degli antirazzisti

Se volete il parere di qualche Youtuber di colore sulla faccenda, vi consiglio l’ottimo Eric July in arte YoungRippa59 che da anni combatte il fenomeno del “Tokenism”, ovvero usare personaggi di colore solo come contentino per i sinistrorsi senza creare nulla di vagamente interessante. Persino JustSomeGuy, critico su molte cose ma estremamente liberal, non ha potuto trattenersi e ha pubblicato un semplice video con immagini del fumetto, risate in sottofondo e 4 minuti di schermo vuoto.

Questo episodio dimostra più che mai che non c’è razzista più integerrimo di un antirazzista: non hanno nessun desiderio di creare nulla per le minoranze che tanto osannano, solo usarli come reskin per cercare di vendere qualche albo o biglietto del cinema in più senza sforzo o rischio. Quando però vengono esposti si dimostrano esattamente per quello che sono: deboli, incompetenti, tartaglianti imbecilli che cercano di farsi scudo con parole e pregiudizi per mascherare la loro incapacità.

Come diceva il professor Tolkien: “Il male non può creare, solo corrompere”.

Mauro Canavese

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