Roma, 10 apr – Chi paga per le sanzioni a Mosca? La domanda è sempre meno peregrina e la risposta, ogni giorno che passa, si fa potenzialmente sempre più drammatica. Tanto più se la prospettiva che si invoca è quella di un embargo totale nei confronti della Russia, come di recente auspicato anche dal parlamento europeo che ha votato una risoluzione sullo stop all’import di gas, petrolio e carbone. Nulla di vincolante, ma il dibattito è aperto e trova sempre maggiori sponde. Come spesso accade, tuttavia, quando a prendere piede è l’emotività del momento si perde di vista il quadro complessivo. Con la concreta possibilità di non vedere l’elefante che si aggira per la stanza.
Il pachiderma, in questo caso, è una triade: recessione, inflazione, disoccupazione. Beninteso non per Mosca – o forse sì, ma il benessere dei cittadini della federazione non è in cima all’elenco delle nostre preoccupazioni – ma per l’Europa e, segnatamente, per l’Italia. I numeri del disastro economico che si palesa all’orizzonte qualora si decidesse davvero per l’embargo totale verso la Russia sono da far tremare i polsi.
Mezzo milione di posti di lavoro a rischio
Ad iniziare le danze ha pensato il Def, approvato tre giorni fa dal consiglio dei ministri. Nel capitolo dedicato agli scenari di rischio, i tecnici del ministero dell’Economia stimano che, nel caso in cui venissero a mancare gli approvvigionamenti di gas da oriente e non si riuscisse a compensarli da altre fonti nel breve termine (ipotesi del tutto verosimile), l’impatto sull’occupazione sarebbe “di 1,3 punti percentuali quest’anno e 1,2 nel 2023”. Dato che la platea degli occupati assomma a circa 23 milioni, significa oltre 550mila posti di lavoro in meno da qui a due anni.
Embargo totale Russia: due anni di recessione e inflazione
A stretto giro di posta è poi arrivato l’ultimo bollettino economico di Banca d’Italia. Anche qui gli scenari analizzati sono di diverso tipo e, ovviamente, quello di un embargo totale contro la Russia è foriero delle maggiori preoccupazioni. Secondo via Nazionale, infatti, considerando l’arresto delle forniture di oro azzurro per il tempo di un anno (a partire da maggio) e con la conseguente “riduzione di circa il 10 per cento della produzione del settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata”, gli effetti sul Pil non tarderebbero a manifestarsi.
La crescita per il 2022, che non più tardi dell’autunno scorso la Nadef vedeva al 4,7%, muterebbe così di segno. Traducendosi in vera e propria recessione sia quest’anno che il prossimo. Non solo il “meno” davanti al Pil, ma anche una corsa del carovita come non si sperimentava da decenni (con la differenza che all’epoca correvano anche i salari): sempre stando al modello previsionale di Palazzo Koch, l’aumento dei prezzi sfiorerebbe l’8% da qui a dicembre, per poi assestarsi vicino al 2,5% nel 2023. Pil sottozero e inflazione alle stelle, riformuliamo allora la domanda: siamo davvero sicuri che l’embargo totale colpirà davvero la Russia?
Filippo Burla