Roma, 2 gen – Più si intrecciano i dati energetici ed economici, più sorprese spuntano. E quasi mai positive.
Con gli ultimi dati disponibili sull’elettricità consumata in Italia, è possibile tracciare un bilancio non solo mensile ma annuale, tenendo in mente che , come più svolte spiegato e illustrato su queste colonne, per esempio due settimane fa per l’Italia e il 25 dicembre per gli Usa.
Sulla scorta del primo grafico presentato, costruito sui dati del Gestore dei Mercati Energetici, non potrebbe essere più evidente lo scivolamento costante dei consumi elettrici in tutti gli anni successivi al 2010, e con essi della capacità produttiva del Paese, seguito al primo crollo occorso dal 2008 al 2009. Quello che emerge è l’assoluta insensibilità di tanto tracollo a qualsiasi governo si sia succeduto nel corso degli anni, dal “vecchio” Berlusconi, al Monti, Letta e Renzi, programmi promesse e misure che non hanno minimamente inciso sulla salute dell’economia nazionale. Probabilmente, i motori elettrici delle industrie hanno la testa dura, incapaci di comprendere il chiarissimo professore, né il grigio ragioniere, e nemmeno il baldanzoso ragazzo fiorentino.
È così che i consumi elettrici hanno perso, nell’ultimo anno appena trascorso, il 2,5% sul 2013, il 9,5% sul 2011 e il 14,5% sul 2007, percentuali direttamente traslabili sul piano più concreto dell’economia reale nazionale.
Infatti il Pil nazionale, sebbene risultato – come sempre in questi casi, e in alcuni anche molto più clamorosamente – anche di artifici contabili, è in caduta libera da metà del 2011. Più importante ancora, abbiamo già evidenziato alcuni mesi fa come le prestazioni della nostra economia siano apparentemente peggiori rispetto agli altri principali competitori europei, Francia e soprattutto Germania. Eppure qualcosa non torna.
Partiamo dal grafico a fianco, che rappresenta il consumo interno di energia primaria in Germania dal 1990, prodotto dall’agenzia AGEB. Il consumo di energia in Germania è sceso nel 2014 al livello più basso dalla riunificazione del 1990. Fino a circa il 1995, tale consumo è stato fortemente influenzato dai cambiamenti economici prodotti dai nuovi Länder; tra il 1995 e il 2005, lo sviluppo del consumo è stato relativamente costante, mentre dal 2006 si osserva un trend fortemente negativo, cioè un sostenuto calo della domanda energetica, dell’ordine del 10% in nove anni. Una diminuzione quantitativamente non molto lontana da quella italiana, quindi.
I problemi allora emergono con il grafico seguente, che rappresenta comparativamente l’andamento trimestrale del Pil italiano e tedesco dal 1960 al terzo trimestre 2014, costruito su dati OSCE.
Proprio fino al 1990, anno della riunificazione tedesca, il Pil italiano ha costantemente recuperato terreno su quello tedesco, portandosi dal 54% del 1960 al 68% del 1989; nel corso del 1990, probabilmente in conseguenza di quell’evento, il Pil italiano perse circa 4 punti percentuali, raggiungendo un minimo del 63% nel 1994 ma recuperando lentamente e leggermente nel successivo decennio fino al 2004-2005, quando il rapporto tra Pil italiano e tedesco si attestava al 65%.
Quello che è accaduto dopo parla di un tracollo quasi verticale, con quasi 11 punti persi in nove anni, in due fasi principali: la prima, fino a metà 2008, la seconda – più lunga e intensa – dalla metà del 2009 e fino a oggi. Tutto questo, mentre il Pil tedesco, superato il crollo del 2008-2009, riprendeva la sua corsa fino a portarsi su valori del 3,3% superiori a quelli raggiunti nel secondo trimestre del 2008, mentre quello italiano scendeva complessivamente del 8,8%.
Ora, in base ai consumi energetici, che non mentono mai, il quadro delineato presenta più di un problema, perché l’economia reale interna tedesca semplicemente non può essere in crescita, considerando il calo sostenuto della domanda energetica.
A nostro avviso soltanto tre risposte, anche non mutuamente esclusive, sono possibili: la prima, che la Germania trucchi i conti a suo favore, e a beneficio del proprio rating; la seconda, meno probabile, che l’Italia trucchi i conti a suo sfavore, proprio per indurre il peggioramento del rating del proprio debito. La terza risposta, che la Germania stia raccogliendo i frutti di un Euro pesantemente sbilanciato verso la sua precedente divisa, il Marco, e utilizzando i capitali accumulati nei decenni precedenti per acquisire in saldo i gioielli industriali all’estero, Italia in primis, con i quali sostenere la propria crescita attraverso lo spostamento dei profitti in Germania e la graduale delocalizzazione delle stesse attività produttive verso paesi a più bassa intensità salariale.
Qualsiasi sia la risposta, o il combinato di queste, quello che emerge è che piuttosto che biasimare la Germania, che persegue legittimamente i propri interessi anche alla faccia della sbandierata solidarietà europea, sarà il caso di guardare attentamente in casa nostra, a partire dalla inettitudine di tutti i governi succedutisi almeno nell’ultimo decennio – e sempre peggio negli ultimi tre-quattro anni – nonché dall’anacronistico tabù dell’appartenenza all’Euro che, se finora può aver recato qualche beneficio alla Germania, di sicuro ha fatto tutto salvo che proteggere l’Italia dalla crisi strutturale in cui siamo precipitati da oltre sei anni.
Francesco Meneguzzo
1 commento
[…] o perfino esistenza, di una presunta crescita dell’economia reale tedesca, inoltre, li abbiamo posti e illustrati più recentemente sulla base della diminuzione sostenuta dei consumi energetici in Germania che, sia pur condivisa […]