Roma, 5 giu – Se il trend non cambia segno, il prossimo anno potremmo non essere più nel G8. E’ questa l’analisi di Confindustria alla presentazione del dossier riepilogativo sul potenziale produttivo del nostro paese. L’Italia, scalzata dal settimo posto da un Brasile in forte espansione economica, tiene a stento il passo con la Francia, mantenendo una quota manifatturiera totale pari al 2,6%. In testa alla Classifica si mantiene la Cina, autrice di un balzo pari al 22% in poco più di dieci anni. Seguono gli USA, con il 14,3%, il Giappone col 7%, la Germania cool 5%.
All’origine della “retrocessione” economica del nostro paese sono i tredici anni di crisi ininterrotta del settore produttivo, che tra il 2000 e il 2013 ha subito un crollo di oltre il 25%, in netta controtendenza rispetto all’incremento dei volumi globali, in crescita del 36%. Pessimo anche il dato sull’occupazione nella manifattura, che dal 2001 al 2011 ha registrato una contrazione di quasi un milione di addetti (930mila), con oltre 100mila unità locali in meno. La flessione è poi proseguita nel biennio successivo con la perdita di altri 160mila occupati e 20mila imprese perdute. Maglie nere del settore sono l’industria dei computer e macchine per ufficio, “quasi azzerata”, quella dei tabacchi, “più che dimezzata” l’elettronica e il comparto automobilistico.Male anche il settore tessile , “prossimo al 50% della produzione iniziale”, così come la pelletteria ed il legno. Un’Italia dunque in “controtendenza”, dice ancora il Report del Centro studi di Confindustria, che “fa peggio proprio là dove gli altri vanno meglio”. La perdita maggiore di produzione si è quasi esclusivamente concentrata nel periodo 2007-2013 in cui l’Italia ha registrato un -25% con un ritmo di produzione persa del 5% all’anno, “una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi paesi industrializzati”, relegando ad un -0,4% la caduta negli anni 2000-2007.
Un malessere profondo nato principalmente dalle miopi politiche economiche e monetarie portate avanti dall’Unione Europea, “fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni verso il resto del mondo” e dal comportamento del settore creditizio responsabile principale del calo nella domanda interna. Confindustria non risparmia critiche al governo: “nei paese avanzati la politica industriale e’ tornata a essere utilizzata come leva normale di governo dell’economia, con la stessa dignità di quelle di bilancio e monetaria”. In Italia no. “Il paese ha abbandonato il programma di rilancio industriale avviato nel 2006 con Industria 2015”, denuncia ancora Confindustria che vorrebbe guardare piuttosto alla creazione di cluster territoriali specializzati, con cui compensare i divari nei livelli di industrializzazione ereditati dalla storia. Per questo, “sono vitali interventi tempestivi perché partire in ritardo significa perdere terreno nei confronti dei paesi concorrenti che già si sono avviati lungo questo percorso”. Non solo. E’ anche “urgente” che l’iniziativa politica, tornano a richiedere gli industriali, “rimettano al centro il settore manufatturiero”.
Francesco Benedetti