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Grecia: il lockdown e l’austerità fanno più danni del coronavirus

by Salvatore Recupero
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Atene, 10 mag –  Il 2020 doveva essere l’anno della riscossa per la Grecia. Il nuovo premier Kyriakos Mitsotakis nel discorso di capodanno aveva promesso “crescita per tutti” con un aumento del Pil pari al 2,8%. Purtroppo le cose sono andate diversamente. A marzo la pandemia ha travolto Atene. Dopo 3 mesi di lockdown arrivano i primi dati per l’anno in corso e non sono certo incoraggianti. Stando alle stime della Commissione Ue, lo “shock da pandemia” farà crollare il Pil greco del 9,7%, assegnandole – questa volta senza alcuna colpa – la maglia nera all’interno dell’Unione europea.

Il lockdown soffoca il turismo

Il dato paradossale è che il coronavirus ha lasciato la Grecia quasi indenne: attualmente si calcolano in tutto 2663 casi di contagi e 147 vittime. Fermare il turismo da un giorno all’altro si è rivelata una scelta scellerata. Atene è stata la prima in Europa a chiudere scuole, negozi, ristoranti. Ripartire ora non sarà facile: la riabilitazione potrebbe essere lunga e faticosa. Il terziario legato turismo rappresenta il 20% del Pil e impiega un greco su cinque. Intere regioni del Paese vivono solo di questo. Il cuore economico dell’Ellade si è fermato per troppo tempo, ed è ancora troppo presto per capire i danni che ha fatto la pandemia. Come riporta l’agenzia Agi: “Gli aeroporti sono desolati, gli alberghi sono chiusi da metà marzo”.

In questo quadro la recessione è inevitabile. L’alleggerimento del lockdown nelle altre nazioni europee non è bastata a fermare la decrescita almeno 2%. Il presidente della federazione greca delle agenzie di viaggio, Apostolos Tsilidis, stima che le perdite per il settore si aggirano intorno ai 22 miliardi. Ricordiamoci che l’anno scorso ben 33 milioni di turisti internazionali avevano scelto la Grecia. Il Paese, nonostante le drastiche cure della Troika, cominciava a vedere la luce in fondo al tunnel.

La crisi e il salasso dell’austerity

A partire dal 2009 una recessione devastante aveva messo in ginocchio l’intera nazione. Tutto iniziò quando il presidente George Papandreou, a fine 2009, subito dopo le elezioni politiche dichiara che i precedenti governi greci avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per permettere alla Grecia di entrare nell’euro, denunciando così il rischio di bancarotta. In pratica la Grecia si era auto declassata. Nel giro di un anno le agenzie di rating (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings) tagliano ulteriormente il rating della Grecia portandolo rispettivamente a Caa1 (insolvente), a CCC (debito altamente speculativo) e a CCC (vulnerabile).

Da quel momento partono i prestiti da parte della Troika. In cambio Atene prometteva un piano che imporrà al paese ellenico tagli per ben 28 miliardi di euro entro il 2015. Nonostante questi provvedimenti Moody’s dava per certo il default della nazione. Seguirono anni terribili. Gli sportelli bancari chiusi, la carenza di approvvigionamenti di farmaci, le violente proteste di piazza Syntagma, il taglio delle pensioni, la messa in mobilità decine di migliaia di dipendenti statali, le tassazioni straordinarie sugli immobili, gli stipendi medi ridotti di un terzo e i patrimoni del 40%.

I greci, presi dalla disperazione, puntarono tutti sul giovane Alexīs Tsipras, capo del partito di sinistra Syriza, che viene eletto nuovo capo del governo con il 36,34% dei voti e 149 seggi. Il neo premier non convince la Troika. Le condizioni imposte dai creditori erano fin troppo umilianti. Allora, Tsipras, come un novello De Gaulle, decide di dare la parola al popolo: gli elettori vengono chiamati ad accettare o rifiutare le proposte di ristrutturazione del debito fornite dai creditori. La vittoria del No fu schiacciante. Ma, mentre il popolo greco si illudeva di aver messo gli speculatori con le spalle al muro, il premier Tsipras e i creditori raggiungono un accordo. Anche se la maggioranza si spacca, il patto con i creditori non viene compromesso. Non stupisce, dunque, che dopo quattro anni, il giovane rivoluzionario venga sconfitto dal liberal-conservatore Mitsotakis. Tanti elettori non perdoneranno a Tsipras la marcia indietro con i creditori internazionali (dopo aver promesso di sconfiggere la troika). Inoltre, gli accordi da lui raggiunti dopo il referendum contenevano condizioni peggiori dei precedenti.

Dopo essersi fatta spremere come un limone dal Fmi, la Grecia aveva finalmente la possibilità di attuare una manovra espansiva in grado di dare fiato alla sua già vessata economia. E invece l’arrivo del coronavirus ha distrutto qualsiasi speranza.

Le rassicurazioni del governo non bastano

Il governo, nonostante tutto, cerca di infondere fiducia e di mostrarsi ottimista: “Riapriremo il primo luglio le porte all’estero“, ha detto il ministro di Stato Giorgios Gherapetritis di fronte al Parlamento.

Entro il 15 luglio saranno noti i dettagli, anche se prima di poter contare sull’arrivo dei turisti dovranno essere chiarite le misure igieniche sugli aerei. Dal 18, apriranno anche altri siti archeologici. Il 15 giugno toccherà ai musei riaprire le porte, sia pur nel rispetto di rigide limitazioni d’accesso e di distanza. I parrucchieri sono già frequentabili, così come i piccoli negozi. Il primo giugno sarà la volta di bar, taverne e cinema all’aperto. Il 18 maggio sarà la volta della ripresa delle lezioni scolastiche: lo stesso giorno dell’Acropoli.

Le riaperture dei negozi potrebbero rivelarsi insufficienti. Si rischia una spirale negativa: il crollo del Pil potrebbe ripercuotersi sul debito pubblico e gli investitori internazionali di nuovo voltare le spalle alla Repubblica Ellenica. Qualche avvoltoio si aggira già nei cieli di Atene. Questo non è decisamente un buon presagio.

Salvatore Recupero

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