Roma, 9 mag – Giudizio sospeso per Moody’s, rinviati a settembre invece per Dbrs. Con queste due ultime pronunce si conclude la “tornata” di revisione del rating sovrano dell’Italia, iniziato due settimane fa. Riservando non poche sorprese (al ribasso).
Era il 24 aprile quando l’agenzia Standard & Poor’s confermava il suo giudizio BBB (rating medio basso) e con outlook – le previsioni sull’andamento di breve termine – negativo, a dire che in futuro potrebbe toccarci una revisione al ribasso. Declassamento che è arrivato pochi giorni dopo quando Fitch ci ha retrocesso da BBB a BBB-, facendo finire i nostri Titoli di Stato appena un gradino sopra i cosiddetti “titoli spazzatura”. Se, in ultimo, Moody’s rinvia il suo esame sulle nostre finanze, la canadese Dbrs conferma la tripla B (high) ma rivede l’outlook da stabile a negativo.
Perché il nostro rating è in ribasso?
A pesare, spiega l’agenzia di Toronto, è “la considerevole incertezza sulle ripercussioni economiche che potrà avere l’impatto dell’epidemia di coronavirus in un contesto già debole“, specie in termini di aumento dei livelli di debito (con il rapporto debito/Pil destinato a sfiorare il 160%), scontando così “il rischio che una prolungata perdita di capacità produttiva indebolisca ulteriormente il già debole potenziale di crescita dell’Italia, pesando sulla capacità del Paese di migliorare la sostenibilità del suo debito pubblico in futuro”.
Se le circostanze macroeconomiche pesano, non sono però le uniche che le agenzie tengono in considerazione. Stiamo d’altronde parlando di uno choc assolutamente simmetrico, vale a dire che colpisce tutti indistintamente. Nonostante ciò le valutazioni non sembrano essere, almeno a prima vista, molto coerenti.
Il rating dipende (anche) dalla sovranità monetaria
Prendiamo ad esempio il caso della Gran Bretagna, che è stata sì declassata da Fitch ma resta comunque in doppia A e quindi ad un alto livello di rating. Eppure Londra dovrà fare i conti con un incremento in doppia cifra del debito pubblico pari (dal 70 ad oltre l’80%), con elevati livelli di incertezza sulle sue prospettive di crescita. Circostanza che non sembra aver particolarmente allarmato gli esaminatori.
Il motivo di questo trattamento difforme è esplicitato dalle stesse agenzie: “I rating dei debiti sovrani in valuta locale possono essere più alti di quelli in valuta estera perché il merito di credito dei primi può essere supportato da una serie di poteri unici di cui gli Stati dispongono all’interno dei loro confini, inclusi quelli di emettere una valuta locale e di regolamentare il proprio sistema finanziario. Quando uno Stato è membro di un’unione monetaria e dunque cede ad una banca centrale comune la facoltà di battere moneta e di definirne il tasso di cambio, oppure quando utilizza la moneta di un’altra nazione, secondo i nostri criteri il suo rating è da considerarsi al pari di quello di un rating di uno Stato che utilizza una valuta estera”, spiega ad esempio Standard&Poor’s, che tende ad assegnare alle nazioni che battono la propria moneta almeno una classe di rating superiore rispetto a quelle che si indebitano in valuta straniera.
Discorso simile anche per quanto riguarda l’agenzia Fitch e ad analoghe conclusioni era già giunto, non pochi anni fa, Frank Packer, analista della Banca dei Regolamenti Internazionali: “Le agenzie di rating assegnano spesso alle obbligazioni sovrane una valutazione in moneta nazionale più elevata rispetto a quella in valuta estera. Tale scarto trova di norma giustificazione nella capacità del governo di tassare e disporre di un’attività in moneta nazionale, capacità generalmente ritenuta maggiore che non nel caso di attività in valuta”.
Filippo Burla