
“Sebbene gli ultimi dati presentati ieri sulla disoccupazione dall’Istat ci dicono che le cose stanno migliorando, il nostro paese continua a registrare dei ritardi occupazionali molto preoccupanti. Tra i 28 paesi dell’Unione europea solo la Croazia e la Grecia presentano un tasso di occupazione più basso del nostro (56.3%)”, spiegano dalla Cgia di Mestre. “Questo tasso – continua l’associazione degli artigiani – è ottenuto rapportando il numero degli occupati presenti in un determinato territorio e la popolazione in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni. In buona sostanza, l’indice consente di misurare il livello di occupazione presente in una nazione. Al netto di disoccupati, scoraggiati e inattivi emerge che in Italia la platea degli occupati registra un gap di 17.7 punti percentuali con la Germania, di 16.4 punti con il Regno Unito e di 7.9 punti con la Francia“.
“Il tasso di occupazione – spiega Paolo Zabeo, responsabile dell’ufficio studi della Cgia – è più importante, perché lega questo indice a doppio filo con il livello di produzione di ricchezza di un’area. In altre parole, tra il numero di occupati e la ricchezza prodotta in un determinato territorio c’è un rapporto diretto. Al crescere dell’uno, aumenta anche l’altra”. Ecco perché il tasso di disoccupazione, sia pur rilevante nell’analisi, non basta a dare il quadro completo della situazione. Senza un confronto si rischia di dare una visione parziale e falsata: è già successo nel recente passato che occupazione e disoccupazione aumentassero in contemporanea, o anche che la disoccupazione diminuisse solo grazie a “trucchi” statistici.
Senza una prospettiva di più lungo termine, d’altronde, sembra pressoché impossibile dare una decisa sterzata al circolo vizioso della non creazione di lavoro. ““Per ridare slancio all’occupazione – afferma infatti il segretario della Cgia, Renato Mason – dobbiamo tornare a investire, visto che negli ultimi 8 anni questo indicatore ha subito una caduta verticale di quasi 30 punti percentuali. Altrimenti, c’è il pericolo che il nostro paese perda la sfida dell’innovazione, della ricerca, della competitività e scivoli in una stagnazione economica senza vie d’uscita“.
Filippo Burla