
La scelta di procedere alla cessione di un’ulteriore quota della s.p.a. guidata da Francesco Caio si inserisce all’interno del piano di privatizzazioni che, oltre a coprire le perdite sui derivati stipulati dal Tesoro, punta a far cassa per affrontare – su indicazione dell’Europa, con obiettivo mezzo punto di Pil quest’anno – il tema dell’indebitamento sovrano.
I proventi derivanti dalla vendita delle azioni sono stimati fra i 2.7 e i 3 miliardi, vale a dire lo 0.13% degli oltre 2300 miliardi di debito pubblico. Non proprio una gran percentuale, ancora di più se si considera che il rendimento del titolo – stante il dividendo 2016 – è attorno al 3.6%, superiore rispetto sia al costo medio ponderato del debito pubblico che del rendimento dei Btp, titoli che rappresentano quasi il 70% del totale e che “costano” allo Stato, nella peggiore delle ipotesi e con riferimento alle ultime emissioni, meno del 2.8%. Ecco: quella differenza di quasi un punto percentuale è la perdita netta che si ha sul lungo termine a fronte di un incasso immediato. Come se si vendesse la propria casa per poi restarci a vivere in affitto.
Filippo Burla