Roma, 1 ago – Da più di tre decenni in magistratura, attualmente presidente della V sezione giurisdizionale del Consiglio Di Stato e con un passato (tra 2018 e 2019) in qualità di sottosegretario al ministero per gli Affari europei nel governo Conte I, Luciano Barra Caracciolo si dedica da anni allo studio dei rapporti tra Costituzione e Trattati europei, analizzando la diversità dei rispettivi modelli economico-sociali e le problematiche, giuridiche ed economiche, che ne sono scaturite. Dopo Euro e/o democrazia costituzionale (Dike, 2013) e La Costituzione nella palude. Indagine su Trattati al di sotto di ogni sospetto (Imprimatur, 2015), torna in libreria con Lo strano caso Italia. Breviario di politiche economiche nella crisi del globalismo istituzionale aggiornato all’emergenza del Coronavirus (Eclettica Edizioni, 236 p, 18€).
Ultimato sul finire del 2019, Lo strano caso Italia intende rispondere ad una domanda: sono realmente praticabili, dentro l’eurozona e la sua complessa disciplina di “vincolo esterno”, delle politiche di crescita senza incorrere in sanzioni e nel ricatto dello spread?
“Lo strano caso Italia” all’epoca del coronavirus
Pur concluso prima della pandemia, quest’ultima non ha fatto altro che – è lo stesso autore a scriverlo nell’introduzione, resasi necessaria come “aggiornamento in itinere” a causa dell’esplodere della crisi, sanitaria prima ed economica dopo – dare “un oggettivo senso “confermativo” di quanto inizialmente detto nel libro”. La lunga analisi si sostanzia in una disamina di un’Italia “prigioniera del pilota automatico”, conseguenza di quei “meccanismi del vincolo esterno derivante dall’appartenenza dell’Italia all’eurozona”: l’apoteosi di un approccio ordoliberista che costringe l’area della moneta unica ad “una sclerosi autoconservativa tutta sua peculiare” con la “Repubblica italiana […] limitata, in ogni sua azione, dalle regole anacronistiche e pro-cicliche dell’eurozona”.
La clamorosa caduta del Pil che ci attende per quest’anno è esemplificativa della situazione in cui l’Italia viene a trovarsi: “In una situazione istituzionale normale – spiega Barra Caracciolo – lo Stato, di fronte a un’esigenza straordinaria, si riserva la facoltà, anzi che di chiedere in prestito tale denaro al sistema privato finanziario di provvedere direttamente a creare questa moneta, coordinandosi con la banca centrale nazionale”, peccato che “non siamo in una situazione istituzionale normale, poiché abbiamo aderito all’eurozona: ciò comporta che lo Stato italiano non disponga di una banca centrale che emette una moneta nazionale, e che, comunque, fatto ancora più importante, sia la sottoscrizione di titoli emessi dal tesoro, sia il diretto trasferimento di liquidità monetaria allo Stato, da parte della banca centrale europea, siano espressamente e rigorosamente vietati”. A poco sono servite (e serviranno) le misure messe in campo dal consesso comunitario – dal Qe pandemico varato dalla Bce, più avanti argutamente definito come “stabilizzazione instabile”, all’allentamento dei vincoli alla disciplina sugli aiuti di Stato, passando per tutta un’altra serie di passaggi -, clamorosamente e palesemente insufficienti. Né potevano esserlo: dall’Ue, al più, si è ricorsi logica “dell’aiutino”, per la quale “si offrono prestiti non tempestivi per cifre irrilevanti ma sempre con condizionalità”.
Austerità, cambi fissi, vincolo esterno
Conclusa la parte di aggiornamento, Lo strano caso Italia prosegue con un’analisi storico-economica delle tendenze e delle dinamiche della nostra economia successivamente al Trattato di Maastricht, a partire da un’ampia trattazione del capitolo della spesa pubblica che – nonostante la vulgata – è molto più “frugale” (per usare un termine oggi in voga) di quel che si pensi: “La crescita della spesa pubblica italiana [primaria, al netto quindi degli interessi, ndr] è sotto controllo. Come diceva Padoan: pure troppo per poter sostenere la crescita”, scrive Barra Caracciolo. E ancora: “Se la spesa pubblica “compone” il Pil, la sua variazione influisce, e non di poco, sulla variazione del Pil,” quindi “l’austerità fiscale al grido di “tagliare la spesa pubblica”, imposta dalla logica dei “conti in ordine”, che, quando si arriva a considerare la spesa corrente, si tende a considerare quasi illimitatamente effettuabile, senza effetti negativi per l’economia reale, (e in ogni fase del ciclo economico!), implica sia il deterioramento delle funzioni pubbliche e dei servizi più essenziali erogati ai cittadini, che la mancata crescita a causa della quale, in sostanza (anche se finge di non capirlo) la Commissione, ci imputa la violazione della regola del debito”.
Da un lato l’austerità, dall’altro l’impossibilità di poter agire sul meccanismo stabilizzatore automatico per eccellenza, per cui “alla perdita di reddito e competitività interna, dovuta alle politiche di austerity, non segue un deprezzamento del cambio”. Un combinato disposto che porta verso un unico possibile esito: la deindustrializzazione.
Non mancano, in questa prima parte, anche ampi capitoli dedicati alla trattazione di temi più tecnici che discorsivi come quelli dedicati al meccanismo del moltiplicatore fiscale e alla curva di Phillips (che mette in relazione inflazione e disoccupazione) come “evoluzione in “sviamento di potere” (delle banche centrali)”, commentando causticamente: “La versione attuale della BCE sulla curva di Phillips: l’operazione è perfettamente riuscita ma il paziente è morto (o non dà segni di guarigione)”.
E’ possibile crescere nell’eurozona?
La seconda e ultima parte de Lo strano caso Italia affronta invece il tema delle politiche economiche possibili all’interno dell’area euro, delineando un approccio a politiche industriali della crescita nel quadro dei trattati.
La necessità, secondo l’autore, è quella di “percorrere la via di una ragionevole espansione della domanda interna per via fiscale”. Sì, ma come? “Uscire dal “ricatto degli spread” e della creazione monetaria affidata alla sola BCE – cui è preclusa ogni forma di finanziamento diretto degli Stati- , rimane, oggi più che mai, l’unico modo di svolgere politiche di crescita anticicliche” tramite “mobilitazione “incentivata” dell’alto risparmio liquido italiano” oppure (o insieme a) “strumenti di liquidità circolanti come mezzi di pagamento anche tra soggetti privati, su base rigorosamente volontaria, legati alle passività liquide dello Stato”. Un esempio in tal senso sono i minibot, cavallo di battaglia della Lega e di cui già si discuteva all’epoca del governo gialloverde.
Non solo lo spread: urgono anche “un complesso di misure di intervento pubblico mirato” volto a promuovere un “effetto “sostituzione”, cioè impiegando, almeno nella fase iniziale del ciclo, gli investimenti pubblici per (iniziare o re-iniziare a) produrre ciò che viene consumato in Italia, specialmente nelle filiere a più alto valore aggiunto”.
Sono misure, queste, che “non postulano l’uscita dall’Ue, e tantomeno dall’eurozona, ma si limitano a creare le condizioni per sfruttare le opportunità offerte da previsioni già vigenti nei trattati stessi”, al fine di ribaltare “i rapporti con l’Ue e con le istituzioni che governano l’eurozona”, ad oggi “caratterizzati da una posizione di “parte debole” per l’Italia”.
Filippo Burla