Roma, 9 gen – Da quando è esplosa la crisi siriana nessun paese della sponda est del mediterraneo è rimasto immune dai contraccolpi delle vicende belliche e dalle implicazioni geopolitiche che ne sono scaturite. I vicini della Siria hanno manovrato, ognuno secondo la propria strategia politica, e si sono attestati su differenti posizioni geostrategiche con coalizioni, fazioni e alleanze.
Quello che fra tutti i vicini di Damasco appare però più in impasse è il Libano. Lo stato dei cedri soffre da decenni di un’endemica frammentazione su base religiosa ed etnica che si è incancrenita con l’entrata in gioco di fattori esterni che hanno lottizzato molte delle fazioni in lotta aiutandole e spesso sfruttandole come pedine sul loro scacchiere.
Ad oggi il paese appare spaccato in due, di cui metà saldamente in mano al Partito di Dio ed il resto sotto il controllo del governo libanese e del suo braccio armato le LAF.
Hezbollah ha da sempre potuto contare sull’appoggio dell’Iran ed è riuscito negli anni a costruire, oltre ad una rete sociale che fa invidia allo stesso stato, anche una potente milizia capace persino di impensierire il potente vicino israeliano. Tutto questo unito alla vasta solidarietà della popolazione, mussulmana e non, e i rifornimenti iraniani avevano garantito l’egemonia militare e quindi una sorta di equilibrio di potenza nel paese.
Fino ad ora.
Il Libano è in una posizione chiave per intervenire in eventuali crisi nell’area siriana, è il centro del ring del vicino oriente ed oggi, che il match per il controllo e l’egemonia della regione sembra entrare nel vivo, si intravedono le due potenze che più delle altre ambiscono a rimanere in piedi alla fine della lotta: Iran e Arabia Saudita.
Ma cosa centra in tutto questo la cara e vecchia Europa, e soprattutto come si pone in relazione agli eventi che sconvolgono il Vicino oriente? Una risposta unitaria purtroppo non c’è, e come sempre ognuno fa per se, al meglio delle proprie possibilità curandosi solo dei propri interessi nazionali.
E così si viene a sapere che dopo mesi di trattative e di tira e molla la Francia, scossa dai recenti avvenimenti di Parigi, ha concluso un ricco accordo di tre miliardi di dollari con l’Arabia Saudita per rifornire il Libano di armi “made in France” pagate dalle tasche della casa reale Saudita.
Un accordo che va in due direzioni di fatto opposte. Nasce dalla necessità di armare la Lebanese Armed Force contro l’insorgenza radicale sunnita legata a Isis, soprattutto nell’area di Tripoli e per fronteggiare le formazioni terroristiche che operano in Siria, ma servirà anche a portare la combattività delle forze libanesi al livello di competitività di quelle di Hezbollah, naturale alleato della Siria del presidente Assad e impegnato anche esso nella lotta la terrorismo.
L’Arabia Saudita, che non ha mai fatto piena luce sui suoi frequentissimi flirt con le formazioni ribelli e terroristiche che da anni insanguinano il Medioriente e che in passato sembra addirittura aver finanziato diversi capibanda ribelli, vuole ora sottrarre il Libano all’influenza iraniana esercitata appunto attraverso Hezbollah.
Così a breve nel paese dei cedri arriveranno i regali francosauditi come gli elicotteri da guerra AS-532 Cougar e AS-3412 Gazelle, un numero non precisato di motonavi FS-56 combattenti armate con i famosi missili antinave Exocet, un intero sistema missilistico superficie-aria Sinbad, duecentocinquanta mezzi terrestri tipo blindati 4×4 Sherpa e VAB Mk-3 e ancora sistemi antiaerei Mistral, radar Cobra e altre batterie anti aeree da 20mm.
Di fatto il kit base per una forza armata rispettabile, il minimo per armare una pedina da utilizzare come si vuole.
L’Arabia Saudita sembra sia il principale sponsor delle coalizioni anti Assad in Siria ma sta giocando anche sul tavolo della coalizione anti Isis voluta da Obama ed ora interviene nelle dispute libanesi.
Un atteggiamento quanto meno strano per chi vuole riportare la stabilità nell’area siriana che non quadra.
La domanda che ci si potrebbe fare, soprattutto alla luce delle recenti azioni terroristiche avvenute proprio in Francia, è se non sarebbe meglio cominciare a trovare dei partner nella lotta al terrorismo che siano veramente disposti a farla. Non sarebbe meglio per i paesi europei cominciare a sostenere quelle istituzioni e quegli stati che invece fino ad ora i media ci hanno presentato come il nemico da abbattere?
Di fatto la Francia introdurrà in un teatro già fortemente compromesso una fornitura di armi importante che andrà, oggi o domani, a pesare sugli equilibri e sulle vicende belliche dell’intero Medioriente.
Alberto Palladino