In realtà ad oggi l’Afganistan non è più tanto solo nel panorama caotico del vicino e medio oriente, l’Iraq, la Libia, lo Yemen e la Siria gli contendono un poco invidiabile primato di morte e, ad oggi, gli afgani sembrano diretti verso migliori fati rispetto ai loro vicini. Tuttavia anche se la guerra apparentemente ha lasciato le alture afgane c’è una minaccia ancora più grande che devasta i paesi islamici: il terrorismo settario, l’intolleranza wahabita, l’oscurantismo armato di Isis &co. Da tempo chi ha capito che il terrorismo, come una tempesta di sabbia, non si ferma difronte ad un confine geografico, è intervenuto sui teatri operativi dei vari fronti aperti per arginarlo. Palese il caso siriano, in cui si è delineata, via via che gli anni di guerra passavano, una “alleanza programmatica” anti terrorismo che va dagli specnaz russi ai falchi del deserto siriani, dall’Hezbollah libanese agli irredentisti palestinesi e in cui trovano spazio altre decine di volontari da moltissimi paesi mussulmani fra cui proprio gli Afgani.
La vita militare di Tavassoli inizia presto, quando gli Stati Uniti tramite l’Iraq di Saddam aggredirono la Repubblica Islamica iraniana, allora quindicenne si recò a combattere nel Kurdistan iraniano e rimase al fronte per tutti gli otto anni della “Sacra Difesa”, come in Iran chiamano la lotta contro l’invasione irachena. Fino alla fine della “Guerra Imposta” combatte spalla a spalla insieme ai suoi fratelli iraniani. Durante l’oppressione del regime Talebano, negli anni novanta, è sepre presente in prima linea nel campo di battaglia in Afghanistan. Di lui un altro combattente del gruppo dei “Difensori dei Luoghi Santi in Siria” racconta: “Lo scorso anno stavo conversando con un mio amico nella nostra tenda nei pressi del mausoleo della Nobile Zainab. Ad un certo punto il mio amico si è interrotto, ha urlato “Salam, comandante coraggioso”, è corso via e ha abbracciato un uomo che era ferito ad un braccio e sembrava un fratello afghano. Lo ha poi portato nella nostra tenda e gli ha offerto del tè. Quella persona umilmente ha bevuto il tè e molto timidamente ci ha salutato e si è recato a visitare il mausoleo della nobile Zainab. Ho quindi chiesto al mio amico di chi si trattasse. “E’ Aghaye Tavassoli, il coraggioso Comandante dei Fatemiyyun”. Per farti comprendere la sua grandezza, è sufficiente dire che durante una missione nella quale più brigate operavano insieme, e tutte tranne quella dei Fatemiyyun erano state sconfitte, hanno chiesto a Hajj Qassem Soleimani se dovevamo continuare a combattere o ritirarci. Hajj Qassem ha dato una risposta interessante. Ha chiesto “C’è Aghaye Tavassoli in questa missione?” Abbiamo risposto di si e che stava dirigendo la brigata Fatemiyyun. Hajj Qassem ha allora detto: ‘Allora continuate a combattere, che insh’Allah avrete la vittoria“.
Un grande uomo che godeva di meritato prestigio e fama guadagnata in una vita di lotta e che ha sempre coltivato l’umiltà dei forti. Un volontario nella guerra all’odio e al terrorismo, un nuovo martire caduto per la civiltà.
Alberto Palladino
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